L’11 settembre 2001, undici anni fa, quattro aerei commerciali dirottati da un commando di terroristi di Al Qaeda attaccavano New York e Washington causando quasi tremila vittime civili. Il loro intento era far precipitare l’Occidente nel terrore e consentire a Osama bin Laden di diventare il califfo dell’Islam fondamentalista. A undici anni esatti dall’attacco all’America siamo più sicuri?
La risposta viene da cosa è avvenuto a chi lanciò quell’attacco: Osama bin Laden è stato ucciso dai Navy Seals; i leader di Al Qaeda sono stati decimati dagli attacchi dei droni Usa in Pakistan, Afghanistan e Yemen; i gruppi jihadisti in America ed Europa negli ultimi due anni hanno subito arresti e fallito attentati; nel mondo musulmano la gente è scesa in piazza contro i dittatori perché spinta dalla richiesta di più diritti e non dalla volontà di osannare la shaaria, la legge islamica. È l’indebolimento del fronte jihadista che ha aumentando la nostra sicurezza collettiva.
Quale è il prezzo più alto che abbiamo pagato per ottenere tali risultati?
La limitazione delle nostre libertà personali. L’amministrazione Bush prima e quella Obama poi hanno applicato in America sistemi di sorveglianza sui cittadini basati sulla violazione della privacy come era intesa prima dell’11 settembre. Molti Stati europei adottano provvedimenti simili, anche se con meno clamore pubblico. La più moderna tecnologia montata sui droni consente, assieme ai satelliti, un sistema di sorveglianza globale capace di monitorare singole conservazioni nelle località più remote. La riservatezza delle comunicazioni si è dissolta. Per difendersi da un nemico che colpisce mischiandosi ai civili, le democrazie hanno avallato una sistematica limitazione dei diritti individuali. Senza contare che il Presidente Obama gestisce una «Kill List», ovvero un elenco di terroristi da uccidere in qualsiasi luogo del Pianeta, che viene peraltro costantemente aggiornato. Mai la licenza di uccidere assegnata alla Cia si era spinta tanto avanti.
È possibile considerare Al Qaeda sconfitta?
È molto indebolita ma non del tutto sconfitta. Resta come galassia di gruppi jihadisti, dal Sahel al Corno d’Africa, dall’Afghanistan allo Yemen fino al Sinai che tentano costantemente di assumere il controllo di singoli territori, più o meno estesi, per trasformarli in basi dove gestire traffici illeciti e addestrare gruppi terroristi. La Jihad predicata da Ayman alZahawiri, successore di Bin Laden, è fondata sull’avversione contro «ebrei e crociati» e sul disegno di dare vita a un califfato fondamentalista: sono obiettivi ideologici e in quanto tali destinati a sopravvivere anche all’eliminazione fisica di chi li ha indicati. In ultima istanza il pensiero della Jihad potrà essere sconfitto solo dall’interno dell’Islam, grazie all’affermazione di libertà collettive e diritti individuali basati sul rispetto del prossimo. Fino a quando ciò non avverrà la Jihad continuerà a minacciarci.
Cosa è cambiato di più nelle nostre vite?
La percezione del pericolo. Sappiamo che salendo su un aereo, un autobus o un treno dobbiamo fare attenzione alle borse abbandonate perché potrebbero esplodere, così come siamo coscienti di dover reagire se un passeggero a noi vicino tenta di accendere una miccia che esce dalle scarpe. Sotto questo punto di vista, lo spartiacque dell’11 settembre 2001 è rappresentato dalla rivolta dei passeggeri del volo United Airlines 93 che si rivoltarono contro il commando di Al Qaeda, andando incontro alla morte sul prato di Shanksville in Pennsylvania pur di impedirgli di continuare la corsa kamikaze contro Washington, dove l’obiettivo poteva essere la Casa Bianca o il Congresso degli Stati Uniti. Il loro eroismo è stato fonte di esempio in innumerevoli situazioni, in più Paesi, che hanno visto in questi undici anni dei singoli cittadini aiutare le forze di polizia a sventare attentati.
Cosa è cambiato di più nel mondo dell’Islam?
L’elemento di svolta è nell’effetto domino, in corso da undici anni, che ha colpito gli ultimi dittatori. Il Mullah Omar e Saddam Hussein sono stati rovesciati in Afghanistan e Iraq dalle truppe americane, Muammar Gheddafi dai ribelli libici, Bashar Assad traballa in Siria a causa di un’inarrestabile insurrezione popolare e Mahmud Ahmadinehad nel 2009 è sopravvissuto in Iran con difficoltà a una rivolta di piazza. Si tratta di leader che in comune hanno il fatto di aver foraggiato o promosso, nel corso degli anni, gruppi terroristici di tipo diverso. Più questo effetto domino accelera, più le tessere cadono una a una, più i gruppi terroristi si indeboliscono, più aumenta la nostra sicurezza.
Fonte: LA STAMPA.IT
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