Il senatore Marcello Dell’Utri ha fatto da “mediatore” nell’accordo protettivo per il quale Silvio Berlusconi pagò alla mafia “cospicue somme” per la propria sicurezza e quella dei suoi familiari. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni al provvedimento dello scorso 9 marzo con il quale i giudici supremi hanno annullato la sentenza d’appello di condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa di Dell’Utri, disponendo il rinvio. La principale causa dell’annullamento starebbe nell’assenza di prove sufficienti circa il concorso esterno del senatore a favore di Cosa Nostra, dal 1977 al 1982. Il processo di secondo grado dovrà adesso essere rifatto a Palermo davanti ad altri giudici.
Spiegano i giudici supremi – nella sentenza 15727 – che in maniera “corretta” sono state valutate, dai giudici della Corte d’Appello di Palermo, le “convergenti dichiarazioni” di più collaboratori sul tema “dell’assunzione, per il tramite di Dell’Utri, di Mangano ad Arcore, come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra”. Provata anche la “non gratuità dell’accordo protettivo”: i giudici scrivono che in “posizione di vittima”, l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, all’epoca dei fatti “imprenditore” pagò “cospicue somme” a Cosa Nostra in cambio “dell’accordo protettivo” contro il rischio di sequestri ai danni suoi e dei suoi familiari. Riguardo l’assunzione del mafioso stalliere Mangano ad Arcore, secondo la Suprema Corte, il dato di fatto “indipendentemente dalle ricostruzioni dei cosiddetti pentiti, è stato congruamente delineato dai giudici di merito come indicativo, senza possibilità di valide alternative, di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell’Utri che, di quella assunzione, è stato l’artefice grazie anche all’impegno specifico profuso da Cinà”.
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