Che la Spagna fosse più forte lo si sapeva già e non può essere una giustificazione per la finale, così come non può esserlo il fatto che i calciatori azzurri sono arrivati alla finalissima stanche e acciaccati. Che l’Italia di Cesare Prandelli abbia fatto comunque un ottimo campionato europeo è fuor di dubbio, ma questo non è un buon motivo per non criticare quanto di sbagliato è stato fatto contro la Spagna.
Se è vero che la Spagna è fortissima, infatti, non è per niente vero che è imbattibile, tanto che in semifinale ha rischiato di andare sotto contro il modesto Portogallo. L’Italia, però, doveva fare la partita perfetta e così non è stato. Se gli iberici non hanno sbagliato nulla o quasi, infatti, gli azzurri qualche errore nell’affrontare la sfida decisiva lo hanno fatto e sarebbe ingiusto non parlarne.
L’errore più grande è stato forse nell’approccio alla gara. L’Italia è apparsa scarica fin dall’inizio, lasciando troppo campo agli spagnoli e facendoli giocare più del dovuto. Il motivo di tutto ciò è parso essere un approccio mentale più che fisico, ma se anche fosse stato fisico, come ammesso dallo stesso Prandelli, allora la colpa è proprio da attribuire alle scelte del tecnico. E’ compito del ct valutare le condizioni dei calciatori, mandando in campo sempre la formazione migliore. La riconoscenza verso i calciatori che ti hanno portato in finale è una bella cosa ma nel calcio non paga quasi mai: ne sa qualcosa Arrigo Sacchi che nel 1994 in finale con il Brasile preferì Roberto Baggio a Gianfranco Zola: il divin codino aveva fatto un mondiale capolavoro, ma in quell’ultima partita era stanco ed infortunato e lo si ricorda solo per il rigore sbagliato.
Sul piano tattico, poi, bisognava pressare e ripartire: se loro sono soliti costruire le azioni con una ragnatela quasi infinita di passaggi, noi dovevamo recuperare palla e verticalizzare subito. Questo non è stato fatto. E sono apparsi evidenti anche gli errori nelle scelte di formazione: a centrocampo Montolivo era sprecato, serviva più uno capace di spezzare il gioco avversario e lo stesso Prandelli, inserendo nel secondo tempo Motta (ma a quel punto era troppo tardi) ha ammesso l’errore. In attacco poi, visto anche quanto mostrato dalla prima partita, sarebbe stato meglio inserire Di Natale dall’inizio.
Poi certo ci si è messa la sfortuna e alcuni effetti collaterali. L’approccio sbagliato è stato anche mentale e a questi hanno contribuito anche altri fattori: la sensazione, per esempio, che gli azzurri avessero già raggiunto il traguardo con l’arrivo in finale, tanto che prima della sfida decisiva era già arrivata la lettera di complimenti del presidente. Un “comunque vada sarà un successo” che nel calcio non va mai bene.
L’ultima nota stonata è stata forse la presenza del Premier Monti in tribuna. Lui che voleva “fermare il calcio” e che guida il paese con così scarsa attenzione a bisogni, umori, e desideri della popolazione, poco si addice ad uno sport che fa di desiderio e passione il suo pane quotidiano. Quanto meno fuori luogo, quindi, come se la riforma del lavoro la preparasse un ministro che, in barba alla Costituzione, pensi che il lavoro è un provilegio piuttosto che un diritto. Questo governo ci ha abituato anche a questo.
Umberto Rennella
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