Vita da top player. Se uno ha vinto con lo Special One, qualcosa di speciale avrà. E lui, Goran, lo Special Pandev, straordinario lo è per forza: ha vinto tutto e adesso all’apice della carriera vuole rivincere col Napoli, riprodurre alle latitudini di Fuorigrotta il Triplete del 2010 realizzato con l’Inter di Josè Mourinho: ci crede perché rivede in Walter Mazzarri il maestro di Setubal. «Io dico che lo scudetto si può vincere subito, le favorite sono sempre Juve, Milan e Inter, ma noi possiamo farcela e se il mister resta con noi nei prossimi anni possiamo conquistare Coppa Italia, scudetto e Champions League. Mazzarri è come Mourinho perché ha in mano il gruppo, un grande gruppo: giochiamo a memoria e con noi la gente si diverte».
Detto da lei che ha ottenuto tanto e che sa come si vince, c’è da crederci: la vittoria della Coppa Italia ha certificato la dimensione da big del Napoli?
«Questa è una realtà che ha mille risorse. Ho scelto Napoli per questo. La Coppa l’ho vinta per 4 anni di fila (dietro solo a Roberto Mancini giocatore, ndr) e ci ha dato una spinta importante. L’esperienza della vittoria crea la mentalità. E noi la mentalità vincente ce l’abbiamo».
Per lei nuova epoca da leader. Ha deciso di chiudere la carriera a Napoli (contratto fino al 2015 più opzione) e si è pure ridotto l’ingaggio.
«Credo in questo progetto. Il Napoli mi dà una carica eccezionale. Il presidente De Laurentiis mi ha riscattato e ha speso molti soldi per me, sta facendo un grande lavoro dopo aver portato il Napoli dalla C alla Champions come nessuno è riuscito a fare sinora in Europa. Ecco perché per questa maglia darò tutto. Nel calcio forse non esistono più bandiere, ma di sicuro ho scelto di restare qui perché sento mia questa realtà. E qui voglio lasciare un segno indelebile».
Mazzarri le ha affidato le chiavi del Napoli: sarà trequartista e ispirerà tutto il gioco d’attacco, sente la responsabilità?
«È una bella investitura, ma io non ho paura di niente. La fiducia di Mazzarri è tutto».
Dev’essere stato difficile accettare la scorsa stagione il ruolo di quarto tenore e, ancor peggio, di sentirsi dire che all’inizio non era in forma.
«Beh, sì. Venivo dall’Inter, sapevo di dover traslocare e non era facile concentrarsi… Però ho rispettato i ruoli di Lavezzi, Cavani e Hamsik e ho aspettato. Ho esordito con un erroraccio a Cesena, ho sofferto la panchina, stavo male fisicamente, poi la doppietta alla Juve ha cambiato tutto».
Ha vissuto anni di montagne russe. Emblematica la vicenda di mobbing alla Lazio, poi la risalita con l’Inter…
«Quello che ho vissuto con Lotito non lo auguro a nessuno, ma non voglio più dir nulla su di lui e su questa vicenda. La verità è uscita troppo tardi, alla Lazio avevo dato tutto, non doveva finire così. Mi auguro che non accada più a nessuno quello che è successo a me. Per fortuna ho un bellissimo ricordo di Delio Rossi, che per me è stato un padre: lui non è quello che abbiamo visto nel furioso litigio con Ljajic, lì dev’essere successo qualcosa che noi non sappiamo. E poi Rocchi, con lui centravanti ci siamo divertiti. Poi è arrivata l’Inter di Mourinho, che mi ha apprezzato tanto».
Le manda ancora sms, Josè?
«Mi scrive e mi dà sempre qualche consiglio. Resta legato ai suoi giocatori anche se non li allena più. Per lui ho fatto anche il terzino in Champions nella finale col Bayern, prima a Londra col Chelsea, a Milano col Barça. Me lo dovesse chiedere lo rifarei anche per Mazzarri».
Che cosa significa per lei l’espressione «esperienza della vittoria»?
«È quello che ci diceva Mourinho: cioè, sei messo nelle condizioni di pensare che sei il numero 1. Lui è speciale per questo. Anche Eto’o diceva che le finali non si giocano, si vincono. Con questa mentalità dovremo affrontare la Supercoppa e la Juve in Cina».
Quanto le piacerebbe avere Eto’o con lei?
«Lui e Cavani sono fortissimi. Li vorrei insieme magari, chi non li vorrebbe, e ci metterei anche Rocchi, perché no. Di sicuro qui abbiamo anche giovani di gran talento come Insigne e Vargas che hanno un futuro radioso davanti».
I gol a cui è più affezionato sono quello di Monaco contro il Bayern del 2011 (3-2) e prima le due reti al Real Madrid con la maglia della Lazio. Ma per una volta vogliamo ricordare gli errori macroscopici?
« (Ride, ndr). L’autoironia, innanzitutto. Con l’Inter ne ho fatti di pazzeschi, impressionanti. A Lecce, a Brescia, col Genoa in casa, ho cambiato tanti ruoli. E quando sono arrivato a Napoli, ho mandato alle stelle a porta vuota un pallone a Cesena… Mi taglierei il piede destro, ma il sinistro di Monaco contro il Bayern no…».
Indovinello: si ricorda chi la marcava nella partita del suo primo gol in Serie A con la maglia dell’Ancona nel 2003-’04?
«Vuoi vedere che era proprio Gamberini? Poi però vinse il suo Bologna 3-2… Alessandro è un grande giocatore e con Behrami ci darà un contributo importante».
Lei è un idolo in Macedonia: cosa significa essere un eroe in patria?
«Una bellissima sensazione. Ricordo quando sono stato fuori 6 mesi alla Lazio, la Macedonia era il mio sfogo e segnavo doppiette a ripetizione».
E che cosa fa Pandev quando non gioca?
«Continuo a giocare con mia moglie Nadia e i miei figli Filippo e Ana ai giardinetti: il massimo. A Napoli, vedrete, ci divertiremo ancora tanto».
Fonte: La Gazzetta dello Sport
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