Qualsiasi soluzione è criticabile. Da sempre l’aborto è una questione spinosa per la quale non è stata ancora trovata la giusta via di mezzo per placare gli animi di tutti. Da sempre la Chiesa si è schierata contro l’interruzione di gravidanza (anche se quest’ultima – controsenso – non accetta neanche l’uso dei preservativi, sia per evitare la trasmissione di malattie sia per scongiurare il sopraggiungere di una gravidanza non prevista). L’opinione pubblica, invece, si divide tra proseliti e non.
La legislazione ha parlato chiaro dal 1978. Dal 22 maggio di quell’anno l’aborto ha avuto una sua regolamentazione. Titolata “Tutela sociale della maternità e interruzione volontaria della gravidanza”, la legge 194 – approvata dal Parlamento e promulgata da Giovanni Leone, Capo dello Stato – ha legalizzato questa operazione. La donna è l’unica che ha il diritto di scegliere se proseguire la gravidanza oppure abortire (senza particolari motivazioni) entro il 90esimo giorno di gestazione. Una conquista sociale per le donne avallata anche dal 68 percento della popolazione che ha mostrato il proprio consenso nel corso del referendum popolare del 1981.
La struttura che rappresenta il supporto morale e fisico per le gestanti è il consultorio, istituito proprio in quegli anni. Fintanto che la donna è maggiorenne, la legge 194 si applica in tutte le sue parti. Lacuna legislativa si è verificata nel caso dell’interruzione di gravidanza di una minorenne senza la consultazione di un genitore. Si è creato un precedente costituzionale il 20 giugno di quest’anno presso il tribunale di Spoleto. Oggetto di discussione è l’illegittimità del art.4 della suddetta legge 194. Secondo il giudice – che ha sottoposto il caso alla Consulta – verrebbero violati sia l’articolo 2 (diritti inviolabili dell’uomo) sia l’articolo 32, comma1 (tutela della salute), della Costituzione. In pratica il Giudice del Tribunale di Spoleto avrebbe cercato di tutelare il diritto alla vita dell’embrione, basando la difesa su una sentenza della Corte di giustizia contro i brevetti sugli embrioni per farne valere l’intoccabilità.
La Corte costituzionale – riesaminando il caso della sedicenne, di cui sopra – ha definito “manifestamente inammissibile” la richiesta di illegittimità dell’articolo 4 della legge sull’aborto. A decidere sull’interruzione, o meno, della gravidanza è solo la donna. Una responsabilità unicamente femminile all’interno della quale il giudice può solo verificare la piena libertà morale della gestante, anche se minorenne. Ha potere decisionale nel momento in cui si riscontra un’incapacità cognitiva del soggetto. Una sentenza importante quella del 20 giugno del 2012 che ha riconfermato il diritto di scelta della donna, anche se minore, su una questione che la riguarda da vicino. Un diritto difficile da rivendicare quando, proprio nelle strutture a supporto di questi interventi, sono in aumento i medici obiettori. I dati della “Relazione sull’attuazione della 194 del 1978” parlano chiaro: la percentuale dei ginecologi obiettori è aumentata. Se ne 2005 era di 58,7 punti percentuali, due anni dopo sono saliti al 71,5. Stesso discorso per il personale non medico (dal 38,6 al 43,3 percento) e per gli anestesisti che hanno “guadagnato” quasi 10 punti percentuali.
Roberta Santoro
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