Venezia volta pagina. Meno film, pochi divi, più sperimentazione e largo ai nuovi talenti e a tematiche che scottano. Apertura al mercato internazionale, al web e alle nuove tecnologie con la possibilità, per la prima volta nella storia, di vedere i film in streaming. Fautore di questa “nuova era” per la Mostra del Cinema (29 agosto – 8 settembre) è Alberto Barbera che torna alla guida del festival lagunare, dopo averlo già diretto dal 1998 al 2002, presentando un evento radicalmente rinnovato. Qualità, sobrietà e novità. Questi i tre pilastri su cui il nuovo direttore, succeduto a Marco Müller (passato al timone del Festival di Roma), ha edificato l’edizione numero 69, un’edizione che si preannuncia autorevole, più attenta ai contenuti che alle passerelle, decisamente snellita nel programma, e con una buona dose di scandalo e temi portanti forti come crisi economica e fondamentalismi. E non a caso la mostra verrà aperta il 29 agosto con la proiezione di “The Reluctant Fundamentalist” della regista indiana Mira Nair che aveva vinto il Leone d’oro con “Moonsoon Wedding” nel 2001, ultimo anno del primo mandato di Barbera.
Saranno solo 60 le produzioni presentate nella selezione ufficiale, di cui 18 quelle in concorso meno della la metà di quelle del 2011, tutte in anteprima mondiale eccezion fatta per “Shokuzai” (“Penance”) di Kiyoshi Kurosawa. Bocciata la sezione Controcampo Italiano, definita da Barbera una “riserva indiana” colpevole di ghettizzare eccessivamente il cinema nostrano, quest’anno la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, rispettando la sua vocazione innata e il suo stesso nome, si presenta con una veste più cosmopolita. “Quest’anno abbiamo lavorato a tutto campo per cogliere quello che di nuovo sta emergendo nel mondo del cinema mondiale “, ha dichiarato a margine della presentazione ufficiale della kermesse il direttore Barbera che, assieme al suo team di selezionatori, ha lavorato duramente per garantire innanzitutto qualità, cercando al contempo di far emergere cinematografie meno ovvie. Un lavoro di selezione che a fronte di scelte coraggiose ed esclusioni “eccellenti”, si è tradotto in un equilibrio artistico pregevole – almeno sulla carta – tra grandi autori affermati (Malick, De Palma, Kitano, Bellocchio) e registi sconosciuti e in alcuni casi esordienti, provenienti da luoghi che non hanno alle spalle una tradizione cinematografica abbastanza forte come Nepal, Guatemala, Indonesia, Malesia, e Arabia Saudita che si presenta col primo film diretto da una donna.
Tra i titoli più attesi, soprattutto perché destinati a suscitare polemiche, troviamo“The Master di Paul Thomas Anderson sulla controversa storia della nascita di una setta pseudo-religiosa molto simile a Scientology, sebbene la produzione abbia già negato qualsiasi tipo di collegamento. A scandalizzare, per le loro tematiche scottanti e pruriginose, altri tre film a stelle e strisce. Il primo è “Spring Breakers” del regista indie Harmony Korine che porta sullo schermo la ribellione trasgressiva di quattro ragazze – interpretate dalle teen idols Vanessa Hudgens, Selena Gomez, Ashley Benson e Heather Morris – tra orgie, alcol e droga. C’è poi “Passion” di Brian De Palma che cinque anni dopo “Redacted” , torna dietro la macchina da presa per dirigere un thriller erotico che ruota attorno alla morbosa relazione omosessuale tra una cinica donna d’affari (Rachel McAdams) e la sua assistente (Noomi Rapace), che sfocerà in rivalità assassina; scene di sesso esplicite costellano anche “To the Wonder”, la nuova fatica di Terrence Malick per la prima volta al Lido con un dramma romantico incentrato su un triangolo amoroso a cavallo tra Europa e Oklahoma. Tra i film destinati maggiormente a dividere critici e opinione pubblica c’è anche un italiano: Marco Bellocchio con “Bella Addormentata”, riflessione sull’eutanasia, sulla vita e sulla speranza, liberamente ispirata alla discussa vicenda di Eluana Englaro.
Bellocchio non sarà l’unico regista italiano in corsa per il Leone d’oro. Accanto a lui ci saranno Daniele Ciprì con “E’ stato il figlio” e Francesca Comencini con “Un giorno speciale”. E andando fuori concorso troviamo quattro documentari a firma italiana: “Clarisse” di Liliana Cavani, “Sfiorando il muro” di Silvia Giralucci e Luca Ricciardi, “Medici con l’Africa” di Carlo Mazzacurati e “La nave dolce” di Daniele Vicari che, dopo il successo di “Diaz”, torna al genere documentaristico con un affresco di realtà che parte dall’agosto del 1991 quando sbarca in Puglia la prima nave di albanesi, per poi seguire le vicende di alcuni di loro e di chi li aiutò ad integrarsi nel nostro paese. “L’intervallo” di Leonardo Di Costanzo, “Bella Mariposas” di Salvatore Mereu, “Low Tide” di Roberto Minervini, “Gli equilibristi” di Ivano De Matteo e i corti “La Sala” di Alessio Giannone e “Cargo” di Carlo Sironi trovano spazio nella sezione “Orizzonti”, protagonista quest’anno di una delle novità più rilevanti apportate alla kermesse dal neo direttore e che lancia Venezia verso il futuro con un’operazione pioneristica sul web: una sala virtuale da 500 posti aperta agli internauti di tutto il mondo che potranno assistere in streaming a 10 lungometraggi e 13 corti della sezione, in contemporanea con la proiezione ufficiale al Lido. Collateralmente alla Mostra nasce anche il Biennale College, un progetto sperimentale unico nel suo genere che si propone di sviluppare e finanziare tre giovani talenti emergenti nella realizzazione dei loro progetti per presentarli al festival l’anno successivo e il Venice Film Market, un luogo fisico di incontro e scambio di idee e proposte tra gli addetti ai lavori, oltre che una sezione – “Venezia Classici” – completamente dedicata ai grandi classici restaurati.
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Enrica Raia
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