“Sembra un film”. Questo hanno pensato milioni di telespettatori l’11 settembre 2001 davanti a quello che accadeva a New York e che la televisione continuava a trasmettere senza sosta. Un film apocalittico, uno dei tanti disaster movie che in più di cento anni di cinema hanno messo al centro di trame apocalittiche la Grande Mela, distrutta da meteore, invasioni alieni, mostri di varia natura, tempeste di neve, tsunami e terremoti. Ma poi c’è stato il “Nine Eleven”, e in un istante tutto ciò visto sul grande schermo si è trasformato in realtà. Una realtà ancora oggi indicibile perché New York, nel bene e nel male, era il simbolo non solo degli Stati Uniti ma di tutto l’Occidente e vederla colpita nel suo cuore pulsante è una ferita profonda che non solo l’America, ma il mondo intero, si porta ancora dietro. Dopo l’11 settembre il mondo occidentale si è scoperto inaspettatamente fragile e vulnerabile; lo sgomento, la rabbia, l’angoscia, l’incredulità, e il senso di impotenza iniziale, provato davanti alle immagini delle Twin Towers che crollavano, hanno lasciato il posto alla paura dell’altro, del diverso, e ad un dolore lacerante che il cinema, come tutti gli altri media, ha cercato di rappresentare producendo una lunga serie di opere che spaziano dal documentario alla fiction.
Dopo una sorta di pudore iniziale e di lutto, Hollywood ha iniziato il suo processo di rielaborazione del 9/11 con il genere documentaristico, testimonianza visiva per forza di cose più autentica e dettagliata, come quella girata involontariamente dai fratelli Jules e Gedeon Naudet la mattina dell’11 settembre 2001 e racchiusa nel documentario «9/11» (2006). Impegnati a filmare un comune intervento dei Vigili del Fuoco, hanno finito per riprendere da vicino l’evento più sconvolgente del nuovo secolo: è solo grazie a loro, infatti, che abbiamo la ripresa dell’impatto del volo American Airlines 11 contro la Torre Nord. Il più famoso, discusso e di successo documentario a tema 9/11 è però «Fahrenheit 9/11», diretto dal regista statunitense Michael Moore, Palma d’oro al Festival di Cannes 2004. Tuttavia, il lavoro di Moore risente ancora troppo della vicinanza con l’evento per essere considerato come un’analisi accurata e obiettiva sui fatti che portarono agli attentati di New York e Washington. Piuttosto il documentario del cineasta americano è focalizzato sulla manipolazione dei media da parte del governo, la corruzione, il conflitto di interessi, le speculazioni e i presunti legami tra la famiglia Bush e Bin Laden. La teoria del complotto rivive, in maniera ancor più polemica che in Moore, in altri due interessanti documentari: «Zeitgeist: the Movie» (2007) diretto da Peter Joseph e «Loose Change: Final Cut» (2005 – 2009) del giovane filmaker Dylan Avery.
A differenza del genere documentaristico, il cinema di finzione solo in pochi casi ha raccolto la sfida di raccontare in modo esplicito quel tragico giorno. Il primo film sulla tragedia, «11’09’’01», esce ad un anno esatto di distanza dagli attacchi terroristici alle Twin Towers e al Pentagono; si tratta di un’opera collettiva, undici cortometraggi ispirati al tragico evento e affidati a registi di fama internazionale provenienti da 11 paesi, culture e religioni diverse (tra cui Alejandro Gonzáles Iñárritu, Claude Lelouch Ken Loach, Mira Nair e Sean Penn), ognuno con la propria sensibilità artistica, ognuno con una totale libertà di esprimersi e tutti con a disposizione la durata simbolica di 11 minuti, 9 secondi e un fotogramma. Con pellicole dedicate agli eventi dell’11 settembre si sono cimentati anche due cineasti di fama internazionale, come Oliver Stone e Paul Greengrass. In «World Trade Center» (2006), Stone abbandonando qualsiasi velleità di denuncia politica ricostruisce il dramma umano di due agenti della polizia portuale di New York, John McLoughlin e Will Jimeno (interpretati rispettivamente da Nicolas Cage e Michael Peña), rimasti intrappolati per ore sotto le macerie delle torri crollate prima di essere portati in salvo grazie all’instancabile lavoro dei loro colleghi. Più intenso e vibrante è «United 93» di Greengrass, anch’esso uscito nel 2006, che ricostruisce uno degli eventi meno noti di quel giorno. Ovvero la drammatica odissea del volo 93 della United Airlines destinato a colpire la Casa Bianca e schiantatosi in Pennsylvania grazie al gesto coraggioso dei passeggeri che, venuti a conoscenza dalle chiamate ai loro cari di quanto stava accadendo a New York, riuscirono a ribellarsi ai terroristi e impedire che il volo divenisse un altro strumento di distruzione.
Se non sono molte le opere che abbiano azzardato una vera e propria ricostruzione dei fatti, numerosa è la produzione di pellicole che privilegiano una spiccata attenzione alle conseguenze individuali, emotive e psicologiche, del dramma. E se Spike Lee ne «La 25° ora» realizza il suo personale atto d’amore ad una New York ferita mostrandoci per la prima volta il vuoto di Ground Zero e riassumendo nell’indimenticabile monologo dello spacciatore Monty Brogan il disagio di una città, e di un paese tutto, che si riscopre fragile, sopraffatta dal crollo delle certezze e dalla fobia del diverso; «Reign Over Me» (2007) di Mike Binder ripensa l’11 settembre in chiave privata soffermandosi sull’impossibilità di ricominciare una vita normale da parte di un uomo irrimediabilmente straziato dopo aver perso l’intera famiglia negli attentati.
Più di recente «Molto forte, incredibilmente vicino», tratto da un romanzo di Jonathan Safran Foer e diretto da Stephen Daldry, affronta il tema della perdita e il dolore dei congiunti delle vittime dal punto di vista di un bambino che ha perso il padre nell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York. Mentre di tutt’altro genere è «The Reluctant Fundamentalist», della regista indiana Mira Nair che ha inaugurato la 69ma Mostra di Venezia con questo thriller politico che racconta la storia di un giovane pakistano che realizza il suo personale sogno americano lavorando a Wall Street, almeno fino all’11 settembre del 2001 quando la sua vita viene stravolta da quell’odio e da quel sentimento di sospetto che lo trasformano in un nemico da combattere.
Enrica Raia
Riproduzione Riservata ®