L’abbiamo pressato, come implacabili difensori, consapevoli che avrebbe vinto lui il confronto. Invece, questa esclusiva viene fuori senza né vinti né vincitori, perché dopo l’ennesimo tentativo, Edinson Cavani si è fatto scappare la frase ad effetto: «Sì, condivido l’ottimismo, questo è l’anno buono». Per vincere lo scudetto, certo, altrimenti per cos’altro? Lui non l’ha voluta pronunciare, la parola scudetto, perché c’è l’ordine tassativo di non alimentare la convinzione della maggiore parte della critica. Però, Edy è un ragazzo intelligente, sa valutare la qualità del suo Napoli, conosce bene il suo mestiere e la parte che gli tocca recitare per accontentare chi fa della scaramanzia un motivo di esistenza. «Vi sembrerà strano, ma la finale di Supercoppa italiana, a Pechino, mi ha dato la definitiva certezza che questo sarebbe stato il nostro anno. E l’inizio non è niente male, vi pare?».
Ma lei se la sarebbe aspettata una partenza così sparata del suo Napoli?
«Non avendo fatto il ritiro coi compagni, perché ero impegnato all’Olimpiade, ho dovuto aspettare Pechino, appunto, per farmi una prima idea della nostra forza. E lì ho trovato un gruppo convinto, motivato e voglioso di fare grandi cose. Laggiù, ho capito che questo sarebbe potuto essere un grande Napoli».
Più forte della Juve?
«Quella di Conte è una squadra solida, ma le differenze che ho visto nell’unica partita giocata contro (a Pechino, ndr) sono state determinate dalle due espulsioni. Quella sconfitta mi ha fatto arrabbiare molto».
Ce l’ha con la classe arbitrale, per caso?
«Ma no! Però, è innegabile che certi errori di valutazione possono condizionare l’esito di una stagione. Non condivido, in ogni modo, la tesi di chi pensa alla malafede o alla disonestà. Siamo uomini e possiamo sbagliare, al di là dei ruoli. Succede a noi calciatori ed è umano che succeda pure a loro».
Ritorniamo a bomba: si può già parlare di una fuga di Juve e Napoli?
«No, è presto, la strada è ancora lunga. Ci sono squadre importanti che verranno fuori. Inter e Milan, per esempio, hanno riaperto un ciclo e il bello del calcio italiano è proprio questo, che magari vinci due partite di seguito, come è capitato all’Inter, e sei nuovamente in corsa».
Quanto ha perso il campionato italiano senza più Ibrahimovic, Lavezzi, Thiago Silva?
«Come ha detto De Rossi il calcio è uno, poi ciascuno lo vede a modo proprio. Io da piccolo sognavo il calcio italiano, guardavo Batistuta e il mio scopo era giocare in Serie A. Per me era e resta il top. C’è chi, invece, ha deciso di andare a giocare da altre parti, perché convinto a suon di milioni. A me non ha mai sfiorato l’idea di andare via da Napoli, perché questo campionato, al di là di tutto, resta uno dei più belli, affascinanti, emozionanti e difficili al mondo. Tutte le squadre lottano, non è giusto dire che è un campionato mediocre. Tatticamente, in ogni campo trovi delle difficoltà contro squadre ben organizzate».
A proposito, è parso di capire che per la sua permanenza a Napoli sia stata determinante la visita che le fece De Laurentiis, a Cardiff, nel ritiro della Nazionale uruguaiana, quest’estate: cosa vi diceste?
«Due giorni prima di quell’incontro, mia moglie, Soledad, subì una rapina a Napoli, eravamo sconvolti e lontani. Io anche nervoso, perché ero impossibilitato a fare qualcosa. De Laurentiis capì la situazione e volle raggiungermi per farmi sentire l’affetto suo e della società. Fu una buona opportunità per discutere anche dei problemi legati al contratto. Lui ha fatto uno sforzo importante, comunque, ma credo che lo abbia fatto con piacere. Se ho alzato la voce in quel periodo, è perché sentivo di meritare qualcosa in più. E, assecondando le mie richieste, il presidente mi ha fatto capire quanto ci tiene a me».
Dica la verità, ma non ha mai pensato di andare via? Si era parlato di Chelsea, Manchester City, Real Madrid…
«Cambiare squadra e città è sempre difficile, ma se realmente altre società mi avessero voluto, avrebbero fatto un’offerta irrinunciabile alla società e invece così non è stato».
C’è poco da nascondersi o da fare gesti scaramantici: i napoletani vogliono lo scudetto e in lei vedono la continuazione di Maradona, di colui che può farli ritornare a vincere. Una bella responsabilità.
«Qui, si vive di calcio, anche per i problemi sociali che ci sono. Nello sport la gente trova la gioia che in altri settori della vita non percepisce. Io darò tutto me stesso per questa città e la sua gente. I tifosi rivedono in me quel giocatore che può farli vincere nuovamente, così com’è accaduto con Maradona, anche se oggi il calcio è diverso. Le nuove generazioni non hanno vissuto l’era di Diego e Careca ed è bello che io possa far rivivere loro quelle emozioni. Spesso, quando vado in giro, le persone mi fermano, mi dicono grazie, perché sto facendo rivedere loro una pellicola del passato che proietta le immagini degli scudetti. E queste cose mi danno una carica eccezionale».
Quella giusta per vincere la classifica dei cannonieri?
«Se a fine campionato prevarrò sugli altri, sarò felice, altrimenti saprò di aver dato comunque il massimo. Io lavoro per vincere, a prescindere dall’importanza del trofeo. E m’impegno per aiutare i miei compagni a fare grandi cose».
Ritiene che sia un sacrilegio accostarla a Messi e Ronaldo? Per continuità, lei non è secondo a nessuno.
«Io mi alleno tutti giorni con la stessa intensità per arrivare al loro livello, sono due grandi campioni. Comunque, spero di raggiungere il top con il Napoli, perché il mio unico obbiettivo è vincere sempre».
Quanto c’è di Mazzarri nella sua definitiva consacrazione?
«Lui è quello che ha più meriti, in me ha sempre avuto fiducia. È stato il mio trampolino di lancio. Mi ha convinto con una telefonata che mi fece durante il Mondiale in Sudafrica. Allora, capii quanto fosse forte il suo interesse nei miei confronti. Oggi, i risultati stanno confermando che la mia scelta di venire a Napoli è stata quella più giusta».
Pandev-Cavani-Hamsik: si dice che sia il tridente più forte d’Italia: condivide?
«Non sempre ci riesce tutto alla perfezione, infatti lavoriamo per migliorarci. Chi ci affronta deve sapere, però, che tutti e tre abbiamo dentro una gran fame di vittorie».
Le pesa l’etichetta di mister 60 milioni? È l’equivalente della sua clausola rescissoria.
«Sapere di valere tanto non mi tocca affatto. Sono cose che gestiscono la società e i miei agenti. Mi allenerei e giocherei con le stesse motivazioni anche se valessi soltanto il 10 per cento di questa cifra».
Proprio il prezzo esorbitante ha spinto Verratti al Psg. Ora, se ne rammaricano in tanti.
«C’è stata una possibilità per lui e per la società, probabilmente nessuno in Italia avrebbe potuto pagare quella cifra al ragazzo e al Pescara. È un grande giocatore, ma deve dimostrarlo partita per partita come dovranno fare Insigne e El Shaarawy, altri due ragazzi di talento. Serve l’aiuto di tutte le componenti quando sei giovane. Talvolta la troppa euforia che circonda un ragazzo può essere deleteria, proprio come è accaduto a Edu Vargas. Ma state certi che anche lui ha grandi qualità».
Fonte: La Gazzetta dello Sport
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