E’ il 1995 quando la società ILVA, di Emilio Riva, si aggiudica, stracciando il concorrente Lucchini, l’asta per la privatizzazione dell’ITALSIDER. Lo stato, che attraverso l’IRI la gestisce, non ce la fa più. O forse si è reso conto del danno ambientale causato e non ha alcuna intenzione di investire in risanamenti e bonifiche? La coscienza popolare ormai è troppo sensibile. Si stanno aprendo gli occhi, le lenzuola “affumicate” esposte alle finestre di Taranto mostrano all’ Italia e al mondo la misura esatta del disagio esistente. E’ con queste premesse che l’IRI decide di disfarsi della moribonda ITALSIDER. In realtà, tra fasi alterne e lotte sindacali, l’IRI ha già iniziato, sotto la guida di Romano Prodi, la privatizzazione. L’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale costituito da Benito Mussolini, nasce nel 1933 per supportare le banche reduci dalla crisi del 1929. Per anni questo ente sarà preso a modello in Europa per la “formula IRI” che avrebbe dovuto aiutare, mediante partecipazione statale, le aziende private a risollevare la nazione. Per un po’ sembra funzionare ma, si sa, lo Stato non è un imprenditore e la politica di investimenti, anche antieconomici, per rilanciare l’industria porterà ad un inevitabile disastro economico. Come dire, se i soldi che investiamo non sono i nostri, il risultato non è uguale. Le aziende sono apparentemente fiorenti mentre l’IRI, cioè lo stato, comincia a fare investimenti non redditizi, utili solo a tacitare i sindacati che chiedono lavoro, specialmente al Sud, o a “premiare” i cosiddetti “voti di scambio”. E’ un’era che dura parecchio ma che alla fine mostra la corda.
E torniamo al 1995, quando l’ITALSIDER, ormai in gravissima crisi, viene messa all’asta. Credo che salti all’occhio anche a voi una prima considerazione: chi ha gestito ITALSIDER prima di ILVA si è mai preoccupato dell’impatto ambientale dell’impianto produttivo? Ha mai investito in prevenzione, salute, sicurezza? Io credo, invece, che abbia consegnato all’ILVA un impianto privo dei requisiti che ora si vanno, indubbiamente con ragione, pretendendo dal suo “patron”. Premetto che il “personaggio” Emilio Riva mi rimane del tutto indifferente e non voglio con queste affermazione prendere alcuna posizione nei suoi riguardi. Sto solo descrivendo, con occhio il più possibile neutrale, la successione dei fatti. Diamo un altro sguardo, dunque, sforziamoci di leggere tra le righe e proviamo anche noi, noi che non siamo smaliziati e vogliamo fidarci delle istituzioni e dei personaggi pubblici, a fare due più due ancora una volta: la cessione di un impianto in perdita, privo delle sicurezze ambientali e di lavoro, ad un abile capitano d’industria, quale Emilio Riva, proprietario di acciaierie in tutta Europa, potrebbe essere avvenuta in base a uno di questi due accordi: a) L’IRI dice a Riva: “Vuoi l’impianto di Taranto? Sarebbe produttivo ma noi, come ente pubblico, non possiamo e non sappiamo mettere in atto le politiche, a volte antisindacali, che occorrono per farlo funzionare a dovere. E poi c’è il problema dell’impatto ambientale…..Te lo cediamo così com’è, sfruttalo finchè ce la fai, traine il maggior guadagno possibile, perché prima o poi dovremo risanarlo e allora saranno guai. In cambio ti offriamo sovvenzioni, aiuti e una base d’asta irrisoria nonché un lungo periodo di tolleranza per i risanamenti che prima o poi dovrai attuare”; b) Riva dice all’IRI: “Caro IRI, vedo che sei nei guai con l’impianto di Taranto, cedimelo a buon prezzo, io lo sfrutterò come meglio credo e mi assumerò anche le responsabilità del danno ambientale, sollevandoti da ogni onere. Sarò il “cattivo” della situazione e tu ne uscirai candido come un giglio”. Con buona pace della salute e dell’ambiente Riva ha continuato a produrre fino ad oggi, anche oltre i limiti imposti dalla legge (La proposta dell’A.I.A., autorizzazione ambientale integrata, è di 8 milioni di tonnellate, la produzione attuale sfiora i 12 milioni). Ed ora è agli arresti domiciliari, in attesa di una A.I.A. modificata rilasciata proprio pochi giorni fa.
In conclusione vogliono far decidere a noi chi sono i cattivi, mostrandoci eventi artefatti, all’ interno dei quali non si sa più se ci sia e dove sia una verità. Invece sanno benissimo chi ha barato in questo pasticcio. E a noi non resta che accapigliarci come i poveri polli di manzoniana memoria, mentre Renzo li conduce, appesi a testa in giù, dall’ avvocato Azzeccagarbugli per fargliene dono. Accapigliarci al bar, dichiarando indignati che Riva è un delinquente, poi, con le lacrime agli occhi, un bravo imprenditore che si è fatto da solo. Poi sarà il turno dell’”infame” Prodi che poi sarà il valoroso che ci ha condotto nell’ euro e poi i lavoratori, che rischiano di perdere il lavoro e quelli che invece rischiano di perdere la vita. Il groviglio è immenso, le ramificazioni sono a tutti i livelli. E noi siamo messi davanti a scelte più grandi di noi: il lavoro o la salute, l’azienda o la famiglia, l’ambiente o lo stipendio.
Il finale è aperto: cos’altro dovremo ancora vedere?
Elisabetta Piras
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