Il dietrofront del Veneto “Festeggiamo il tricolore”

SCHIO – Spuntano. Persino a Treviso, capitale del negazionismo unitario. Anzi, spuntano soprattutto a Treviso, perché lì hanno un significato in più. Vogliono dire: ci avete rotto le scatole con gli strafalcioni sulla storia e le sparate contro l’idea tricolore che fu, fino a prova contraria, tutta nordista.
Sono i vessilli biancorossoverdi, che fioriscono un po’ dappertutto, a pochi giorni dal centocinquantenario, anche non te lo aspetti. Verona, Vicenza, Padova, Rovigo. E soprattutto nel Veneto minore, dove la pressione della Lega e dei venetisti è più forte. Ciliegi e bandiere, sotto una fine pioggia primaverile.
Il “clou” sarà l’immane fumogeno tricolore che giovedì a mezzogiorno, tempo permettendo, trasformerà in vulcano il Monte Summano, 1300 metri a picco sui capannoni del Vicentino e la base americana in costruzione. “Erutteremo un segnale di risveglio su una pianura sbranata dagli egoismi”, un “richiamo ai valori e alle bellezze del Paese”, dice il regista dell’operazione, il libraio-volante Alberto Peruffo, scaricando una camionata di candelotti ecologici. Noto per le sue acrobatiche proteste civili, Peruffo ha avuto l’incarico da quattro comuni “ribelli” della zona, e il 17 saliranno in tanti lassù, anche per “vendicare” un Garibaldi di pezza messo al rogo lì vicino da un gruppo di balordi. Verrà anche l’attore Marco Paolini, che stasera a Padova leggerà in teatro il messaggio del presidente Napolitano, prima del suo “Galileo”.
Ma c’è anche il fiume in questa occupazione tricolore dei luoghi-simbolo del Veneto. L’Adige, che a partire dalle 10 sarà disceso in gommone a Verona da oltre un centinaio di camicie rosse di ogni età, guidate dal professor Mario Allegri, altro resistente allo smantellamento dell’unità. Una risposta, quasi, alla calata leghista sul Po di quindici anni fa, e anche al suo stesso ateneo che l’anno scorso gli negò per opportunismo il patrocinio a una rievocazione fluviale dell’imbarco dei Mille. Il tutto con allegro condimento di brindisi, letture, canti e recite; una no stop dalle ore zero alle 24 del giorno 17.
“C’è resistenza” dice sollevata l’universitaria Eva Cecchinato, specialista di Risorgimento e nota anche per aver tenuto validamente testa in tv alle aggressioni di Mario Borghezio in camicia verde su Garibaldi “ladro e terrorista”. “Nonostante i fondi tagliati dal Governo – spiega dalla sua casa di Pregaziol, Treviso – sono le scuole a dare il meglio, con un bel ruolo di supplenza rispetto alle amministrazioni leghiste”. Ed è l’Italia minore, anche qui, a dettar la strada. Lezioni sulla Costituzione in luoghi sperduti come le lande del Polesine. Comuni del Veneziano come Spinea, Martellago, Salzano, che sparano raffiche di eventi con zero mezzi.
Due giorni fa s’è svegliato persino Montecchio Maggiore, dove l’anno scorso la giunta di centrodestra – nota per provvedimenti contro gli immigrati – aveva fatto togliere come uno sconcio una coppia di tricolori arditamente piazzati su una ciminiera di 40 metri da un commando di sconosciuti garibaldini. C’è stata una festa biancorossoverde in un teatro, con racconti di paese, riferimenti ammonitori alla defunta Jugoslavia, inno nazionale da finale dei Mondiali, e micidiali canzoni satiriche eseguite dal maestro Bepi De Marzi.
Ma il bello è accaduto a Treviso, la terra di Giancarlo Gentilini, durante un dibattito della Fondazione Benetton. Quando l’attore Alessandro Haber ha bollato come “vergogna” l’assenza di celebrazioni annunciata dal presidente della provincia il leghista Muraro (“L’Unità d’Italia è una tragedia”), la platea ha risposto con un lungo applauso. E poi, alla richiesta di Haber che i contrari spiegassero le loro ragioni in pubblico, nessuno si è fatto avanti.
Perché in Veneto si sparano grosse (l’ultima è dell’assessore regionale alla protezione civile, immigrazione, identità e caccia, Daniele Stival: “Useremo il mitra contro i profughi libici”), mai poi c’è poco coraggio di passare ai fatti. La bandiera di Montecchio, per esempio, è stata tolta non dai vigili urbani, ma da una ditta di telefonia con la scusa di “lavori in corso”. E il 17, la giunta dello stesso Comune celebrerà l’unità, ma più in sordina possibile, a rimorchio di un alzabandiera degli Alpini. A Castelfranco hanno proibito il tricolore fuori dal teatro perché “stando alle normative vigenti, l’esposizione è prevista solo negli edifici sede centrale degli organismi di diritto pubblico”. Un sistema curiale, consolidato.
A Treviso, dove sembrava già in corso la secessione e dove tutti gli eventi unitari erano già stati cancellati, si è deciso – fiutata l’aria – per il salvataggio in corner, con una mini-cerimonia in piazza Vittorio, sotto il monumento ai Caduti – perché non si sa mai – cui seguirà peraltro un contro-raduno “spontaneo” del Pd in piazza dei Signori. Il governatore Luca Zaia, che recentemente ha deciso di scrivere il suo nome alla veneta, “Xaia”, chiede uno stop alle polemiche “perché abbiamo altri problemi che ci assillano”, precisando peraltro che il Tricolore “viene spesso brandito solo per cercare la rissa”. Anche il sindaco pdl di Arzignano, capitale della concia travolta da scandali per inquinamento ed evasioni fiscali miliardarie, avrebbe altro da pensare. Ma, inchiodato dalla Lega, ha preferito annunciare il “niet” alle celebrazioni. Meglio pensare che il male venga da Roma.

SCHIO – Spuntano. Persino a Treviso, capitale del negazionismo unitario. Anzi, spuntano soprattutto a Treviso, perché lì hanno un significato in più. Vogliono dire: ci avete rotto le scatole con gli strafalcioni sulla storia e le sparate contro l’idea tricolore che fu, fino a prova contraria, tutta nordista.
Sono i vessilli biancorossoverdi, che fioriscono un po’ dappertutto, a pochi giorni dal centocinquantenario, anche non te lo aspetti. Verona, Vicenza, Padova, Rovigo. E soprattutto nel Veneto minore, dove la pressione della Lega e dei venetisti è più forte. Ciliegi e bandiere, sotto una fine pioggia primaverile.
Il “clou” sarà l’immane fumogeno tricolore che giovedì a mezzogiorno, tempo permettendo, trasformerà in vulcano il Monte Summano, 1300 metri a picco sui capannoni del Vicentino e la base americana in costruzione. “Erutteremo un segnale di risveglio su una pianura sbranata dagli egoismi”, un “richiamo ai valori e alle bellezze del Paese”, dice il regista dell’operazione, il libraio-volante Alberto Peruffo, scaricando una camionata di candelotti ecologici. Noto per le sue acrobatiche proteste civili, Peruffo ha avuto l’incarico da quattro comuni “ribelli” della zona, e il 17 saliranno in tanti lassù, anche per “vendicare” un Garibaldi di pezza messo al rogo lì vicino da un gruppo di balordi. Verrà anche l’attore Marco Paolini, che stasera a Padova leggerà in teatro il messaggio del presidente Napolitano, prima del suo “Galileo”.
Ma c’è anche il fiume in questa occupazione tricolore dei luoghi-simbolo del Veneto. L’Adige, che a partire dalle 10 sarà disceso in gommone a Verona da oltre un centinaio di camicie rosse di ogni età, guidate dal professor Mario Allegri, altro resistente allo smantellamento dell’unità. Una risposta, quasi, alla calata leghista sul Po di quindici anni fa, e anche al suo stesso ateneo che l’anno scorso gli negò per opportunismo il patrocinio a una rievocazione fluviale dell’imbarco dei Mille. Il tutto con allegro condimento di brindisi, letture, canti e recite; una no stop dalle ore zero alle 24 del giorno 17.
“C’è resistenza” dice sollevata l’universitaria Eva Cecchinato, specialista di Risorgimento e nota anche per aver tenuto validamente testa in tv alle aggressioni di Mario Borghezio in camicia verde su Garibaldi “ladro e terrorista”. “Nonostante i fondi tagliati dal Governo – spiega dalla sua casa di Pregaziol, Treviso – sono le scuole a dare il meglio, con un bel ruolo di supplenza rispetto alle amministrazioni leghiste”. Ed è l’Italia minore, anche qui, a dettar la strada. Lezioni sulla Costituzione in luoghi sperduti come le lande del Polesine. Comuni del Veneziano come Spinea, Martellago, Salzano, che sparano raffiche di eventi con zero mezzi.
Due giorni fa s’è svegliato persino Montecchio Maggiore, dove l’anno scorso la giunta di centrodestra – nota per provvedimenti contro gli immigrati – aveva fatto togliere come uno sconcio una coppia di tricolori arditamente piazzati su una ciminiera di 40 metri da un commando di sconosciuti garibaldini. C’è stata una festa biancorossoverde in un teatro, con racconti di paese, riferimenti ammonitori alla defunta Jugoslavia, inno nazionale da finale dei Mondiali, e micidiali canzoni satiriche eseguite dal maestro Bepi De Marzi.
Ma il bello è accaduto a Treviso, la terra di Giancarlo Gentilini, durante un dibattito della Fondazione Benetton. Quando l’attore Alessandro Haber ha bollato come “vergogna” l’assenza di celebrazioni annunciata dal presidente della provincia il leghista Muraro (“L’Unità d’Italia è una tragedia”), la platea ha risposto con un lungo applauso. E poi, alla richiesta di Haber che i contrari spiegassero le loro ragioni in pubblico, nessuno si è fatto avanti.
Perché in Veneto si sparano grosse (l’ultima è dell’assessore regionale alla protezione civile, immigrazione, identità e caccia, Daniele Stival: “Useremo il mitra contro i profughi libici”), mai poi c’è poco coraggio di passare ai fatti. La bandiera di Montecchio, per esempio, è stata tolta non dai vigili urbani, ma da una ditta di telefonia con la scusa di “lavori in corso”. E il 17, la giunta dello stesso Comune celebrerà l’unità, ma più in sordina possibile, a rimorchio di un alzabandiera degli Alpini. A Castelfranco hanno proibito il tricolore fuori dal teatro perché “stando alle normative vigenti, l’esposizione è prevista solo negli edifici sede centrale degli organismi di diritto pubblico”. Un sistema curiale, consolidato.
A Treviso, dove sembrava già in corso la secessione e dove tutti gli eventi unitari erano già stati cancellati, si è deciso – fiutata l’aria – per il salvataggio in corner, con una mini-cerimonia in piazza Vittorio, sotto il monumento ai Caduti – perché non si sa mai – cui seguirà peraltro un contro-raduno “spontaneo” del Pd in piazza dei Signori. Il governatore Luca Zaia, che recentemente ha deciso di scrivere il suo nome alla veneta, “Xaia”, chiede uno stop alle polemiche “perché abbiamo altri problemi che ci assillano”, precisando peraltro che il Tricolore “viene spesso brandito solo per cercare la rissa”. Anche il sindaco pdl di Arzignano, capitale della concia travolta da scandali per inquinamento ed evasioni fiscali miliardarie, avrebbe altro da pensare. Ma, inchiodato dalla Lega, ha preferito annunciare il “niet” alle celebrazioni. Meglio pensare che il male venga da Roma.

Fonte: Repubblica.it

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