A Napoli ieri andava in scena il ‘monnezza day’, il giorno della spazzatura e delle rivendicazioni. Erano presenti tutti i comitati cittadini riuniti sotto una sola sigla per denunciare 17 anni di sprechi e disastro ambientale. Un’emergenza raffigurata con la forma di una torta gigante, ogni piano ha i suoi responsabili: funzionari, politici, imprese e camorra. Dopo il “Miracolo” di San Silvio, la situazione è nuovamente di piena crisi. I rifiuti coprono nuovamente le strade, quasi duemila tonnellate a terra solo nel capoluogo partenopeo, blocchi stradali nella zona di Fuorigrotta, con i commercianti che protestano: “Le nostre abitazioni e i nostri negozi sono invasi da puzza, blatte e ratti”.
Non manca all’appello la comunità di Chiaiano, dove nel 2008, sotto la supervisione dell’allora sottosegretario Guido Bertolaso, si aprì una discarica. Un sito che ancora oggi è in funzione, ma sul quale la procura di Napoli ha aperto un’indagine per le possibili infiltrazioni camorristiche. All’attenzione degli inquirenti la mancata impermeabilizzazione del sito, con l’uso di argilla di scarsa qualità, e i rapporti delle aziende che lo hanno gestito con i clan Mallardo e Zagaria.
Tutto questo accade mentre in una altra parte della città, più a Nord tra Ponticelli e le zone vesuviane, si consuma il dramma dell’ospedale del Mare, atra opera faraonica che per Bassolino e compagni sarebbe dovuta essere il fiore all’occhiello della Sanità Pubblica campana.
Una nuova discarica a cielo aperto è diventato l’Ospedale del Mare. I canaloni che circondano l’ingresso dell’ospedale sono zeppi di montagne di copertoni, frigoriferi, tv, colline di stracci e rifiuti vari.
Ogni notte, la gente racconta che , arrivano i camion, entrano nella strada laterale che separa le nuove costruzioni del nosocomio e scaricano. Ci dicono pure che sotto quei copertoni mettono di tutto: bidoni di vernice, materiali tossici, rifiuti speciali. Veleni, insomma. L’Ospedale del Mare è una cloaca a cielo aperto. Eppure nel 2004 fu pensato e progettato come il nuovo modello dell’edilizia ospedaliera. Una vera e propria città che si estende su una superficie di 145.800 metri quadrati, dove ammalati e familiari avrebbero trovato di tutto, dall’albergo al centro commerciale, parcheggiare comodamente (1300 sono i posti auto), curarsi con tecniche d’avanguardia in 18 sale operatorie e aspettare la guarigione in 451 posti letto.
Questo nelle promesse che assessori e politici del vecchio centrosinistra andavano sbandierando in ogni conferenza stampa e campagna elettorale. Per sapere come è andata basta fare una tappa a Ponticelli e fermarsi davanti all’ingresso. “Il cantiere è chiuso”, ci dice un vigilantes. “E 200 lavoratori edili sono in mezzo a una strada, senza prospettive. È che qui tutti hanno mangiato, imprese concessionarie, subappaltatori, funzionari e politici”, taglia corto uno degli operai buttati in mezzo a una strada. I finanziamenti dell’Ospedale del Mare dovevano essere messi in parte dal pubblico, la Regione, e in parte dal privato, la Astaldi capofila di un gruppo di imprese. Investimento previsto nel 2004 187 milioni, quota pubblica 57%, quota privata 43%. Astaldi e Osmar (il raggruppamento di imprese vincitrici dell’appalto) si erano impegnate a consegnare i lavori nel 2008-2009, in cambio avrebbero gestito per 25 anni tutti i servizi della mega-struttura. Un grande business. Finito male. Con la chiusura del cantiere e una inchiesta del pm Giancarlo Novelli che ha coinvolto 12 persone tra funzionari della Regione e dell’Asl Napoli1, manager e responsabili delle aziende.
L’europarlamentare Enzo Rivellini, denuncia che “per concludere i lavori è necessaria una variante che costerà 56 milioni, inoltre sono aperti contenziosi per gli espropri non inferiori ai 9 milioni, inoltre per la vertenza in corso tra imprese private e pubblico sono in ballo altri 74 milioni e 282 mila euro, aggiungiamo il costo delle attrezzature biomedicali che dovranno essere acquistate, altri 48 milioni, il fatto che le imprese vogliono far scendere la loro quota di investimento da oltre 91 milioni a 20, quindi i 70 milioni di differenza dovranno essere coperti dal pubblico, ed è presto fatto: servono altri 258 milioni”.
Ma c’è uno scandalo nello scandalo, denunciato dal Fatto Quotidiano, ancora più drammatico per la evoluzione che potrebbe avere: l’Ospedale del Mare è stato costruito ad appena 8 chilometri dal Vesuvio.
“In spregio alle più elementari norme di sicurezza, in zona gialla, a 100 metri dalla zona rossa, quella di massimo rischio di eruzione”, denunciò già nel 2009 la senatrice radicale eletta nel Pd Donatella Poretti. “La delimitazione della zona rossa (con divieto assoluto di costruzione) e di quella gialla (zona a pericolosità differita da evacuare in caso di disastro) è stata realizzata seguendo i confini amministrativi solo per esigenze logistiche e operative, essendo aree effettivamente a rischio”. La senatrice ha presentato interrogazioni parlamentari al governo, lanciato appelli alla Protezione civile, alla Commissione grandi rischi e all’Istituto nazionale di vulcanologia, “ma tutto tace”. Franco Ortolani, ordinario di geologia dell’Università di Napoli , ha messo nero su bianco i suoi allarmi. “Il limite della zona rossa non è stato tracciato in base a criteri scientifici. La zona dell’Ospedale del Mare è al di fuori della zona rossa in base ad un mero criterio amministrativo, non lo è, di fatto, in relazione alla reale distanza raggiunta dai flussi proclastici distruttivi nella zona di Pompei con l’eruzione del 79 dopo Cristo. Ma basta ricordare gli effetti ambientali dell’ultima eruzione vesuviana del 1944 che fu una delle meno devastanti, per avere una idea di cosa possa significare la sicurezza della struttura sanitaria alle falde del vulcano”.
Ma non è solo il Vesuvio a preoccupare,” l’ospedale è stato costruito – continua il professor Ortolani – a circa 4 chilometri di distanza sottovento rispetto al previsto inceneritore e a una centrale elettrica funzionante. Come è noto questi impianti disperdono nell’atmosfera particelle di vario tipo che saranno poco salutari per i futuri ricoverati”.
In queste drammatiche situazioni la città si prepara ad eleggere la nuova giunta che dopo Bassolino e la Iervolino, sicuramente la salverà da tutti i mali di cui è afflitta, vedi quando sta accadendo in provincia e quanto in Regione Campania.
Ho fatto un sogno, ho sognato di mettere su un bel falò utilizzando come innesco al fuoco non benzina ma i corpi putrefatti di tutti i politici locali, al mio risveglio ero felice pensavo che finalmente con un sol fuoco c’eravamo liberati della monnezza delle strade e di quella che ha imbrattato per anni i palazzi del potere a Napoli e provincia.
Sapevo che era stato tutto un sogno e che presto la solita monnezza avrebbe perseguitato la mia esistenza, ma per un po’ è stato bello vederli bruciare!
Vincenzo Branca
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