Papa Wojtyla: piegarsi alle regole della “santità”


Confessioni e segreti mai rivelati sugli intrighi e le grandi opere del Papa forse più amato del secolo scorso

Ciascuno di noi vive di poche, incrollabili certezze. Tutti ne abbiamo bisogno, per tirare avanti, e tentare di spiegarci un mondo che ci appare continuamente incomprensibile, deludente, di là dalle aspettative. Oggi mi sento nostalgicamente romantica (in senso letterario), e voglio farvi un regalo: mi perdonerete se mi lascerò andare a qualche speculazione. Oggi voglio confidarvi una delle mie certezze, di quelle che mi aiutano a districare i bandoli anche delle più intricate, interrogative matasse. Ebbene, una di queste certezze è che, nella vita, per arrivare in alto, bisogna acconsentire ai compromessi: siamo un po’ come gli aquiloni, che per volare alto devono accettare di essere legati a un filo. La vita, e la società umana, seguono questa stessa regola: per raggiungere grandi traguardi bisogna sporcarsi le mani, e quando si taglia il nastro si è già corrotti al punto da aver dimenticato i nobili intenti della partenza, quegli stessi che spingono a intraprendere la corsa. La diretta conseguenza storica di questo processo è che tutti coloro che vediamo arrivare ai vertici di questo mondo, per arrivarci hanno dovuto mangiare polvere e rotolare nel fango, insudiciandosi fin nel midollo; e, per raggiungere quegli obiettivi che si erano in partenza prefissati, hanno dovuto cedere al compromesso. Con questa affermazione non pretendo, è ovvio, di possedere l’assoluta verità: si tratta di una personale interpretazione della realtà, come ne esistono altre migliaia e migliaia, probabilmente una per ogni persona su questa terra. Prendetela dunque come bisognerebbe prendere una qualunque affermazione provenga da un essere fallibile, quale l’essere umano è per antonomasia: cioè come una personale, opinabile certezza.

Lo scorso primo Maggio Giovanni Paolo II è stato beatificato. Papa dal terzo pontificato più lungo della storia, inferiore per durata solo a quello di Pio IX e a quello tradizionalmente attribuito a Pietro, Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, ha così sfiorato, anche da morto, un nuovo record: quello della velocità del processo di beatificazione, che dopo poco più di sei anni dalla sua morte già lo mette in corsa per la santificazione, con grande disappunto di coloro che l’avrebbero voluto “Santo subito”, perché, già in vita, Papa Wojtyla, con quell’alone circonfuso di grazia divina e di incrollabile fede, con quello sguardo indulgente e pietoso, con quell’indiscusso carisma che conquistò gli italiani sin dalla sua prima frase pronunciata da vescovo di Roma, quel “corrigerete” che fece lacrimare di commozione tanti occhi e sorridere tante bocche, ebbene, già all’epoca quel Papa giovane e intraprendente era in odore di santità. Eletto dal sinodo a soli 58 anni, primo Papa straniero dopo una interminabile serie di italiani, e in assoluto primo Papa polacco della storia, Karol Wojtyla è stato un personaggio di spicco e di indiscutibile prestigio sulla scena mondiale contemporanea: alcuni lo ricordano addirittura come un Papa progressista, che tese una mano alle altre religioni aprendo ai loro rappresentanti le porte della Chiesa Cattolica e chiedendo perdono per le stragi perpetrate in nome di Cristo; un Papa che avvicinò i giovani alla profetica parola del Vangelo grazie all’istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù; un Papa viaggiatore, vicino ai poveri e ai sofferenti – come, d’altronde, ogni Papa che si rispetti dovrebbe essere. Un Grande Papa, e insieme un uomo umile e compassionevole, che seppe imprimere cambiamenti radicali in seno istituzioni ecclesiastiche. Qualcun altro (quasi per certo una minoranza), ricorda Giovanni Paolo II come un Papa conservatore, quasi reazionario nell’intimo, che si batté sempre con fervore contro la libertà sessuale, contro il divorzio, contro l’aborto e l’eutanasia, contro l’istituzione del sacerdozio femminile. Ma quasi nessuno si ricorda, soprattutto in questi giorni di santità, di Karol Wojtyla come incallito oppositore della Teologia della Liberazione, vigoroso nemico dell’aberrante comunismo di stampo marxista tanto da giungere a sfiorare l’opposto estremo del filo-fascismo – che poi, a ben guardare, non si sa quanto diverso sia dall’estremismo comunista. Nessuno, in questi giorni di festa per Papa Wojtyla, vuole ricordare quella stretta di mano con Augusto Pinochet, e la cartolina d’auguri che il Pontefice gli inviò in occasione delle sue nozze d’oro; e a nessuno va di rivangare le beatificazioni di Pio Laghi, il cui nome resta ancora impronunciabile per le Madri di Plaza de Mayo che ancora cercano le spoglie dei loro figli désaparecidos, di Josemaría Escrivà de Balaguer, accusato di essere vicino al regime franchista, e di Alojzije Viktor Stepinac, accusato di collusione con il regime ustascia di Ante Pavelić, fondatore del brevemente glorioso Stato Indipendente di Croazia. Né tantomeno, oggi si vuole ricordare l’amicizia di Wojtyla con Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo e pedofilo conclamato, che sempre godette della copertura della Santa Sede, sin dal pontificato di Pio XII, quando giunsero le prime imputazioni (1942), fino a quello di Wojtyla stesso, che in prima persona rigettò come diffamatorie le accuse di molestie sessuali a carico del sacerdote messicano, pervenute in Vaticano (1989) ad opera di oltre 30 seminaristi, all’epoca minorenni; accuse tornate a galla solo con una seconda visita apostolica voluta da Benedetto XVI che portò, ironia della sorte, proprio il 1° Maggio dello scorso anno, al commissariamento della congregazione da lui fondata.

Nessuno, in questi giorni di gloria, vuole ricordare l’altro lato della medaglia, quel “Wojtyla segreto” che emerge dalla contro-inchiesta, resa pubblica proprio in questi giorni, con indiscutibile tempismo, di Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti, che pongono l’accento soprattutto sui legami del Pontefice con Solidarność, movimento sindacale polacco fondato da Lech Wałęsa in opposizione all’oppressione comunista, che godette di ampi finanziamenti (1980-81) da parte del Banco Ambrosiano, presieduto da Roberto Calvi (giustiziato il 17 Giugno 1982, presumibilmente dalle mafie, e questa non è un’altra storia), Banco Ambrosiano controllato dallo IOR (Istituto per le Opere di Religione, n.d.r.), a sua volta gestito dall’ambigua e inquietante figura di Marcinkus, guardia del corpo di Paolo VI prima e fidato braccio destro di Giovanni Paolo II poi, che, secondo Galeazzi e Pinotti, non si fece scrupolo di finanziare il sindacato polacco di Wałęsa con ingenti capitali provenienti dal riciclaggio di denaro sporco (fonte: mafie) ripulito nei paradisi fiscali da società fantasma. Tenendone all’oscuro Papa Wojtyla (?). No. Secondo Galeazzi e Pinotti Wojtyla sapeva, e taceva. Perché, scrivono gli autori, la lotta al comunismo era per Wojtyla “una battaglia da vincere con ogni mezzo”. Rivelazioni che gettano una luce nuova e inquietante sulla figura di uno dei Pontefici forse più amati della storia.

Ma ritorniamo ora per un attimo alla riflessione iniziale: che Karol Wojtyla sia stato un grande Papa, oltre che un uomo che ha lasciato un segno nella storia, in bene o in male, è fuori discussione. Mai come in questo caso sarebbe appropriato dire: solo Dio conosce la verità, che a noi mortali non è dato sapere con certezza. Ma di certezza, a me ne resta sempre una: per arrivare in alto, bisogna sporcarsi le mani, accettare il compromesso, chiudere un occhio, e a volte tutti e due. Macchiarsi, irrimediabilmente, e durante la scalata dimenticare i buoni propositi dell’ascesa iniziale. Ergo: chi siede ai vertici non veste mai di bianco, metaforicamente parlando, non ha mai le mani pulite. Ma questa è la mia idea. La giustificazione di quelli che arrivano in cima, dei grandi, che compiono grandi opere a costo di grandi sacrifici è sempre la stessa: avere agito “per il bene comune”, o per una motivazione “superiore”, che dir si voglia. Ai manzoniani “posteri” tocca decretare se e quanto ne sia valsa la pena. Ognuno è libero di credere in ciò che vuole; e, per chi ci crede, spetta solo a Dio giudicare l’operato dell’uomo. Compreso quello del suo sommo rappresentante. Come dice il proverbio: Stretta è la foglia, larga è la via…dite la vostra, che io ho detto la mia.

Giuliana Gugliotti

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