Oggigiorno purtroppo i media sono un continuo annunciare casi di cronaca nera: è giusta l‘informazione, ma è sbagliato raccontare minuziosi dettagli dei delitti efferati. Onnipresente e sacrosanta è la condanna verso chi ha ucciso e lo sdegno della soppressione di una vita: sempre presente ma scarsamente obiettiva è la “santificazione” della vittima.
L’atto dell’omicidio è orribile, inumano ma parlando d’umanità, bisogna anche capire quanto l’errare sia umano: solitamente le povere vittime, secondo la stampa, non sbagliano mai.
E’ vero che tante volte i giornalisti stravolgono la realtà, raccontando antefatti inesistenti, ma è altrettanto vero che alcuni atteggiamenti sono inconfutabili: talvolta la colpa non è per forza delle vittime, ma almeno dei loro genitori e di una certa educazione.
In tantissimi casi di femminicidio, la donna è realmente incolpevole, un povero agnello sacrificale: altre volte magari scherza troppo pesante , sul filo del rischio; non si vuole colpevolizzare la vittima della propria morte, anzi, ma semplicemente denotare la consapevolezza di giocare col fuoco, magari aizzando persone malate o violente.
Talvolta la vittima è tossicodipendente, frequenta gente chiaramente poco raccomandabile o semplicemente non gira alla larga da ambienti potenzialmente pericolosi.
I casi clamorosi poi riguardano le morti nelle galere.
Sempre ammettendo che i decessi siano realmente provocati, l’immaginario collettivo attacca le forze dell’ordine (che indubbiamente soffrono di un certo “rigidismo”), ma nessuno si domanda il perché un ragazzo si trovi in galera (talvolta sommessamente si accenna alla tossicodipendenza).
Spesso in questi casi parlano i famigliari, che ovviamente sono i primi ad esaltare il figlio come il più santo ed onesto al mondo.
Ovviamente in questo frangente non è assolutamente giustificata la violenza fisica o psicologica, ma talvolta può essere l’atteggiamento aggressivo di un individuo (magari sotto effetto di stupefacenti) a provocare una reazione più severa o fin troppo severa.
I casi più eclatanti sono le morti durante le risse allo stadio (o legate alla tifoseria) o durante le manifestazioni.
Qualsiasi persona sensata si allontana appena c’è una rissa pericolosa, anche per evitare manganellate ingiustificate da parte delle forze della polizia: talvolta sono le forze dell’ordine che nella confusione, seguono il motto romanesco “ ‘ndo cojo cojo” e si lasciano andare alla violenza verso la gente innocente.
In questi casi emerge anche l’antica diatriba tra l’uomo e il poliziotto, in cui il poliziotto è visto come “ lo Stato severo”: quindi non solo l’imputato diventa automaticamente l’uomo d’ordine ma la vittima muore in odore di santità, attraverso mitizzazioni nel futuro.
In questi casi i necrologi diventano “coccodrilli”, ossia la lacrima lasciata sulla pagina è tendenzialmente ipocrita.
Il giornalismo crescerebbe in serietà se maturasse un pizzico d’obiettività.
Antonio Gargiulo
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