Vedere un testo filmico all’interno del contesto storico è un operazione estremamente affascinante e strettamente connessa alla linea sulla quale si muove il cinema quando guarda al passato, mostrando un mondo scomparso, con il suo nucleo di valori. Nel ventennio successivo alla seconda guerra mondiale , la commedia all’italiana segue l’evoluzione degli italiani e ne fornisce il ritratto più fine e più crudele. Con la sua critica alla nuova volgare ricchezza e la sua ironia spesso malinconica demolisce le illusioni del benessere e indirizza lo sguardo verso la tragedia che sta sempre in agguato dietro la fortuna. Risi, Comencini, Lattuada, De Sica e Monicelli saranno i grandi castigatori dei costumi volgari degli italiani, della loro arroganza (Il mattatore, Risi 1960), del servilismo (Una vita difficile,Risi, 1961), della faciloneria (Il Boom, De Sica, 1963), della falsità (Mafioso, Lattuada, 1962) e dell’ignoranza (I mostri, Risi, 1963). La tensione morale, l’osservazione dell’Italia di ieri per capire i vizi di quella di oggi, la ricerca dei mezzi toni tra comico e patetico, la fusione di una precisa concezione formale/strutturale e l’immediatezza del documentarismo sono tutti temi cari a Comencini. In quegli anni, a partire dal Generale della Rovere (1959), c’è un ritorno ai temi della Resistenza dopo un periodo di silenzio; Registi che per età sono tutti “figli della Resistenza”, ed è chiaro che Comencini rientra in questa generazione, insieme al Gianni Puccini del Carro armato dell’8 settembre (1960), al Florestano Vancini di La lunga notte del ’43(1960), al Valerio Zurlini di Estate violenta (1959). La memoria di guerra è rievocata anche grazie a film come La Grande Guerra di Mario Monicelli (1959), in cui la prima guerra mondiale viene vista come un affresco di umanità, comprensione e reciprocità, per sopportare le fatiche di una guerra senza gloria, passata ad aspettare di trincea in trincea, il già citato film di Florestano Vancini La lunga notte del ’43 (1960), tratto da un racconto di Bassani, sulla rappresaglia provocata da un omicidio maturato in seno al fascismo ferrarese; Tiro al piccione (1961) di Giuliano Montaldo, sull’adesione dei giovani alla Repubblica sociale italiana; ma anche Un giorno da leoni (1961) di Nanni Loy sulla partecipazione di un gruppo di giovani romani ad un attentato contro i tedeschi e Il federale (1961) di Luciano Salce, con un ottimo Ugo Tognazzi, ispirato alle illusioni di un fascista che non si rende conto che tutto stava cambiando. Sono film che riflettono il mutato atteggiamento della classe politica davanti alla storia recente. Esaurita la fase del centrismo, dopo la parentesi del governo di centro-destra che aveva raccolto i voti dei neofascisti del Movimento Sociale Italiano, scatenando la protesta di piazza, si apre la stagione del centro-sinistra che recupera il tema della Resistenza come valore fondativo della democrazia italiana del dopoguerra. E’ un cinema che si rivolge alla generazione che ha vissuto quell’epoca, ma anche a quella immediatamente successiva che sembra non averne memoria. Nel caso di Tutti a casa, la realizzazione avviene a meno di vent’anni di distanza dalla drammaticità dell’8 settembre 1943 e dei mesi che seguirono quella data che ha segnato la storia dell’Italia.
“Signor colonnello, accade una cosa incredibile…i tedeschi si sono alleati con gli americani!”esclama il sottotenente Innocenzi (Alberto Sordi) , incredulo dopo aver subito un attacco da parte dei tedeschi. Questa battuta tratta dal film Tutti a casa diretto da Luigi Comencini (1960) più di tutte è emblema di un senso di sbandamento e abbandono che segue l’armistizio tra l’Italia e gli Angloamericani, reso noto l’8 settembre 1943. Lo stesso Comencini afferma : “L’8 settembre fu veramente un tradimento per il popolo italiano. La gente fu abbandonata a se stessa ed era questo che volevo descrivere”. Così commedia e tragedia sono uniti insieme nel paradosso della guerra e degli eventi storici. Commedia e tragedia che si riflettono nella recitazione di Alberto Sordi , ora comica, ora drammatica. È l’unico film che ha affrontato con ironia ma anche con rigore e franchezza le vicende seguenti l’armistizio dell’8 settembre e la tragedia in cui, da un giorno all’altro, piombò l’Italia senza più re, né governo, né esercito. Un film basato in parte sui ricordi personali degli autori del soggetto (entrambi ufficiali al momento dell’armistizio). “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. la richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”.
La reazione tedesca di fronte alla resa italiana non si fece attendere. Già nella notte tra l’8 e il 9 settembre le prime colonne tedesche muovevano ad occupare i principali punti strategici dell’Italia settentrionale e centrale. La Resistenza italiana già annunziatasi nel marzo 1943, coi massicci scioperi operai nelle città industriali del nord, ebbe il suo preludio militare con la difesa di Roma da parte di alcuni reparti dell’esercito che, sostenuti dalla popolazione civile, contrastarono l’ingresso dei tedeschi a Porta San Paolo. A Roma, per la prima volta dopo il Risorgimento, esercito e popolo si congiunsero in un’unica lotta. Fu una resistenza poco più che simbolica, ma indicò la strada da battere. Né si possono dimenticare le quattro giornate di Napoli (27-30 settembre): la popolazione reagì alle violenze dei tedeschi battendosi nei vicoli della città vecchia, finché gli occupanti non si piegarono ad abbandonare la città. I reparti militari dislocati fuori d’Italia , colti di sorpresa dall’armistizio e lasciati privi di ordini, furono per lo più catturati dai tedeschi e avviati in Germania nei campi di concentramento, ma non mancarono casi di resistenza e fierezza militare. “Fu il frutto – scrive R. Battaglia – d’una scelta lungamente meditata, della consapevolezza dolorosamente maturata che gli altri, e cioè i popoli oppressi, avevano ragione”. Si è calcolato che tra il ’43 e il ’45 gli uomini che parteciparono alla resistenza siano stati oltre 230mila, dei quali almeno 125mila impegnati in modo continuativo nelle operazioni di guerra. I caduti furono 70mia, i feriti gravi 40mila. I partigiani provenivano da tutte le classi sociali, ma i dati a disposizione rivelano che, almeno nella Valle padana, la maggioranza era costituita da operai e che forte era la presenza dei ceti medi. Quando si parla di resistenza italiana non si possono dimenticare le migliaia di soldati e ufficiali (oltre 60mila) catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre e deportati in Germania. Chiusi nei campi di concentramento, essi non cedettero, nella stragrande maggioranza, alle lusinghe dell’immediato ritorno in patria a patto di aderire alla repubblica sociale di Mussolini, scegliendo di rimanere prigionieri in Germania.
“Tutti a casa” è un film diretto con estrema umanità e verità storica. Alberto Innocenzi fa il possibile per mantenere unito il suo reparto, aspettando ansiosamente istruzioni precise. Quando si rende conto che non ne verranno, dimentica il senso del dovere e della disciplina e diventa come tanti altri, getta la divisa, veste abiti che lo trasformano in un altro uomo e si unisce a tre militari del suo reparto che cercano di raggiungere al più presto casa nell’Agro pontino. Quando arriva finalmente a casa, suo padre lo incita ad arruolarsi nel nuovo esercito fascista. Innocenzi al grido “Gli Americani stanno per arrivare, è finito tutto” decide di fuggire verso sud con l’amico Ceccarelli. I due, entrati a far parte del Todt, rimangono coinvolti a Napoli nello scoppio dell’insurrezione. Ceccarelli, sopravvissuto a tutte le avventure, sta per giungere a casa quando viene ucciso dai tedeschi. In quel momento Innocenzi ,preso dall’ira e dalla disperazione decide di unirsi alla lotta per la liberazione. Nella scena finale Innocenzi sembra vestito di una nuova divisa, spara contro i tedeschi e si predispone ad accettare ordini contro quelli con cui una volta era alleato.
Giuseppina De Angelis
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