Fra tutti i modi di produzione dell’amore, fra tutti gli agenti disseminatori del male sacro, certamente uno dei più efficaci è questo gran soffio di agitazione che a volte passa su di noi. Allora l’essere col quale in quel momento ci piace stare, il dado è tratto, sarà lui che ameremo. Non c’è neanche bisogno che finora ci sia piaciuto più di altri, e neppure altrettanto; bisogna solo che il nostro gusto per lui sia diventato esclusivo. E la condizione si è verificata quando — nel momento in cui è mancato — alla ricerca dei piaceri che ci dava il suo fascino si è sostituito improvvisamente in noi un bisogno ansioso, che ha per oggetto quel medesimo essere, un bisogno assurdo, che le leggi di questo mondo rendono impossibile da soddisfare e difficile da guarire, il bisogno insensato e doloroso di possederlo.
Nasceva a Parigi, il 10 luglio 1871, uno dei più grandi scrutatori dell’animo umano: Marcel Proust. Il suo nome è noto a tutti, ma sono davvero pochi quelli che hanno avuto il piacere e la volontà di leggere la sua opera più famosa: “Alla ricerca del tempo perduto”. Sette volumi intensi, che finiscono per cambiare irrimediabilmente qualcosa nel lettore.
Marcel è il figlio di Adrien Proust, un famoso medico francese, professore universitario, luminare nel campo dell’igiene. La madre, Adèle Berncastel discendeva, invece, da un’agiata famiglia ebrea di origine alsaziana. Grazie alla sua condizione economica, lo scrittore frequenta salotti mondani, viene a contatto con artisti dell’epoca, ma anche borghesi vuoti e narcisisti di cui studia ogni comportamento. Tutto questo materiale gli tornerà utile per la stesura del suo capolavoro. Dopo aver frequentato il “Liceo Condorcet”, Proust ebbe una breve esperienza militare. Successivamente si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dove, nel 1893, si laureò per poi lavorare presso uno studio legale. La pratica del diritto convinse sempre più lo scrittore che non fosse quella la sua strada. Nel 1984, infatti, pubblica “I piaceri e i giorni”, raccolta di prose, ritratti e racconti. Non avviene, però, l’esplosione del Proust scrittore, qualcosa sembra trattenerlo, qualcosa sembra non lasciargli pienamente libertà di parola. Quel qualcosa è stato individuato da alcuni critici nell’omosessualità, allora latente, di Proust, confessata solo alla morte della madre. Un gran da fare gli diedero anche le opere saggistiche e di traduzione, vista la sua buona conoscenza della lingua inglese. Nel 1903 lo scrittore perde il padre e nel 1905 la madre. La perdita dei genitori segna profondamente la vita di Proust, tant’è vero che egli non riuscì più parlarne senza che gli venissero le lacrime agli occhi; del dolore per quella perdita, molto si può leggere nella Recerche. Dopo la morte della madre, comunque, lo scrittore eredita un enorme patrimonio, diviso con il fratello Robert. Il suo poco interesse per il denaro lo porta –però- a sperperare enormi somme.
Durante la stesura di un saggio, il “Contre Sainte-Beuve”, Proust accumula una ricca trama che sarebbe poi confluita nella sua opera maggiore. La stesura della Recerche lo impegna per moltissimi anni, dal 1908 al 1922, anno della sua morte. Difficile fu soprattutto cercare un editore disposto a investire su un’opera così avanguardistica rispetto ai tempi. Alla fine ad accettare la sfida, dopo un’iniziale rifiuto, furono le edizioni Gallimard. Proust resta uno dei pilastri della letteratura mondiale; la sua opera può essere avvicinata alla Divina Commedia per mole, ma anche per scopo: in entrambe le opere si passa dalle tenebre alla luce della rivelazione.
Emiliana Cristiano
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