A 73 anni, dopo 24 dischi e numerosissimi successi, Francesco Guccini ha annunciato la sua dolorosa decisione di “non salire più su un palco, di non scrivere più canzoni e tantomeno di incidere nuovi cd”. Dopo la morte del suo produttore e amico storico, Renzo Fantini, il cantautore bolognese ha deciso di porre la parole “fine” alla sua carriera. Niente più ispirazione, nessuna voglia di toccare ancora la chitarra. Restano le sue canzoni senza tempo, così autentiche, intrise di umanità, ma anche tanta tanta malinconia.
Nato a Modena il 14 giugno 1940, Guccini è figlio di Ferruccio, impiegato alle poste e di Ester, casalinga. Poco dopo la sua nascita, il padre è chiamato alle armi e il piccolo Francesco si trasferisce a casa dei nonni paterni, sull’Appennino tosco-emiliano. L’esperienza sull’Appennino segnerà profondamente la sua vita e il suo carattere, nonché le sue canzoni. Dopo la fine della guerra, al ritorno del padre, ritorna a Modena con la famiglia. Nella sua città natale, il cantautore comincia a studiare e a osservare la società che lo circonda, nutrendo i primi dubbi riguardanti la collettività e – più in generale – i rapporti tra gli esseri umani. Nel 1960 si trasferisce a Bologna, al n°43 di via Paolo Fabbri (questo il titolo di un suo famoso album del 1976).
Il debutto avviene nel 1961 con “l’Antisociale”, brano in cui attacca le meschinerie de “l’avvocato, il borghese, l’arrivato” e del “bravo e onesto padre di famiglia” che pensa a come sistemare la figlia. Brano forte, potente, anche se avvolto da polemiche. Nel 1967 il primo album: “Folk beat n°1”, con brani che affrontano temi come il suicidio, la miseria sociale, la guerra, l’Olocausto. Il disco non riscosse successo, ma servì per presentare Francesco Guccini sulla scena. Il vero riconoscimento avvenne nel 1972 con l’album “Radici”, che contiene alcune delle sue più famose e belle canzoni. Il leitmotiv è, appunto, la ricerca delle proprie radici che caratterizza la vita di tutti gli esseri umani. Continuano una serie interminabile di successi e di dischi, l’amicizia con i grandi della musica come De André, Gaber e Vecchioni, le contestazioni, la vicinanza ai giovani e alla sinistra italiana. La poetica del Guccio si è palesata nei suoi pezzi, caratterizzati dall’uso di registri stilistici diversi che vanno dall’infimo all’aulico/ricercato. Magistrali i suoi ritratti di personaggi, eventi e stati d’animo, il suo esistenzialismo, l’eccezionalità della sua empatia. Oltre alla musica, Guccini si è dedicato anche alla scrittura, alla recitazione e ai fumetti. Un artista eclettico, a 360°; un poeta che mancherà tanto, a cui ci rivolgeremo noi e forse dopo di noi ancora altre generazioni. I suoi testi sono lo specchio della società e dell’uomo che vale la pena consultare e su cui è necessario riflettere.
Emiliana Cristiano
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