Quaranta anni fa si spegneva a Roma una delle più grandi attrici della storia del cinema, Anna Magnani o “Nannarella” per chi l’amava. Figura emblematica e icona intramontabile per tutti i cinefili che ancora oggi guardano in un misto tra dolcezza e nostalgia a quel cinema neorealista di cui la Magnani era l’emblema. Talento ineguagliabile e personalità forte, Anna era un vero e proprio vulcano indomabile di grinta, passione, forza e gioia di vivere.
Una donna dalle mille sfaccettature, di certo complessa e imprevedibile; di quella complessità che ha contribuito a rendere i suoi personaggi indimenticabili. Una carrellata di volti femminili, di corpi di donne forti e sensibili, grintose, genuine e sfrontate, con la risata fragorosa, quasi contagiosa. Insomma uno squarcio quanto più realistico possibile di un’Italia di donne vere, popolane dai gesti sgraziati e dalle mani rovinate dalla fatica, capaci di mettere in mostra i loro difetti senza vergognarsene proprio come la stessa Anna Magnani amava fare, sempre con i capelli scompigliati e senza mai scendere a compromessi o assoggettarsi a schemi e icone di stile e bellezza che agognavano donne perfette, curate in ogni minimo particolare.
Anna, invece, che non era di certo bellissima, godeva di un fascino magnetico e sgraziato che la rendeva unica tra le tante, se non la più grande. E così, come le donne uniche e caparbie che interpretava sullo schermo, la Magnani difendeva con le unghie e con i denti la propria dignità e il proprio orgoglio. Implorava il truccatore di non toglierle nemmeno una ruga perché aveva impiegato anni ad averle, e lei non voleva sembrare altro che se stessa, la donna combattiva che non aveva paura di esporsi, di far sentire la propria voce e ribellarsi.
Quella della Magnani fu una carriera intensa e ricca di riconoscimenti, che le valse anche il premio Oscar come migliore attrice protagonista nel 1956 per l’interpretazione di Serafina Delle Rose nel film “La rosa tatuata”. Fu la prima interprete italiana ad essere riconosciuta dagli Academy Awards ed una delle poche personalità italiane ad avere una stella nella celebre Hollywood Walk of Fame.
Eppure nonostante una carriera illustre non si può dire che l’infanzia e l’adolescenza di Anna furono altrettanto meravigliose. Abbandonata dalla mamma appena nata, fu accudita dalla nonna materna che si impegnò a fondo per far crescere e studiare la nipotina. La nonna la indirizzerà verso la musica, e Anna intraprenderà lezioni di pianoforte. Successivamente abbandonerà lo studio della musica per dedicarsi a ciò che sembrava più confacerle, ovvero la recitazione. Lei stessa in un’intervista dirà: «Ho capito che ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di meno. Per tutta la vita ho urlato con tutta me stessa per questa lacrima, ho implorato questa carezza. Se oggi dovessi morire, sappiate che ci ho rinunciato. Ma mi ci sono voluti tanti anni, tanti errori».
Nel gennaio del 1927 a 19 anni iniziò a frequentare la scuola di arte drammatica Eleonora Duse e non passò molto tempo prima che venisse notata e scritturata da una compagnia teatrale che la portò in giro per l’Italia allontanandola dai suoi affetti più cari e dalla nonna materna. Da quel momento in poi la sua carriera sarà in ascesa. Il suo debutto cinematografico risale al 1934 in “La cieca di Sorrento”. Dopo tanti ruoli minori fu con Vittorio De Sica che Anna riuscì ad imporsi come attrice cinematografica. Vittorio la volle nel suo film “Teresa Venerdì” affidandole un ruolo di spessore, Loretta Prima, attrice di varietà. Ma è nel 1945 che raggiunse la fama mondiale con il grande capolavoro di Roberto Rossellini, “Roma città aperta”. E’ questo il film che segna la carriera di Anna Magnani.
Indimenticabile la scena in cui Pina (Anna Magnani) muore trucidata dai mitra dei tedeschi mentre corre dietro al camion che porta via il marito. Una delle scene più famose della storia del cinema italiano, nonché la sequenza più celebre del neorealismo. Silvano Castellabeppe scriverà di lei «La Magnani è immensa. Attrice sensibile, intelligentissima. E non venitemi a parlare di volgarità. La Magnani va collocata, studiata e criticata sul piano del romanesco. Allora si vedrà che, nella sua virulenza plebea, l’attrice deriva proprio dalla tradizione popolare più pura e quindi più nobile. […] C’è un momento nel film in cui il Vammoriammazzato! di Anna Magnani, rivolta a un tedesco, toglie il respiro e rimane nell’aria, tragicamente come una condanna definitiva.»
Dopo la consacrazione con la Sora Pina, sarà un susseguirsi di personaggi e donne coraggiose a cui Anna Magnani offrirà il proprio talento, come la popolana Maddalena Cecconi, in “Bellissima” di Luchino Visconti, la devozione di Serafina Delle Rose, la detenuta Egle nel film di Castellani, “Nella città l’inferno”, o la prostituta Roma Garofolo in “Mamma Roma” di Pasolini, e tutte le altre indimenticabili donne a cui presterà voce, anima e corpo. Nel 1960 rifiutò il ruolo da protagonista nel film “La ciociara”, poi affidato a Sophia Loren che le fruttò l’Oscar nel 1962.
La sua ultima apparizione cinematografica fu nel 1972 nel film di Federico Fellini, “Roma”. Nel cameo una dolente Anna Magnani si aggira per i vicoli di Roma. Risponde a Fellini, e ridendo chiude il portone davanti alla macchina da presa. Così termina la sua lunga e brillante carriera da attrice.
Oggi nel quarantesimo anniversario della sua morte, Roma la ricorderà presso la Casa del Cinema di Villa Borghese, con la mostra “I am Anna Magnani” dello street artist campano Biodpi, al secolo Fabio Della Ratta. Il progetto dell’artista rinnova il ricordo di un Anna resa icona; l’anti-diva per eccellenza riproposta e rappresentata più volte graffittata, stampata, decorata e riletta in chiave contemporanea. Così, più volte ritratta, Anna rivive ancora insieme a tutti i personaggi che interpretò, alle figure del mondo del cinema che la conobbero, ai luoghi delle numerose pellicole a cui partecipò, nonché alle figure di spicco che ebbero la fortuna di scoprirne l’immenso talento e poterono giovarsene. Un omaggio ad una donna di altri tempi che con la sua presenza davanti alla macchina da presa offuscava tutti; “la popolana che sapeva essere regina”, come l’aveva definita Suso Cecchi d’Amico.
Maria Scotto di Ciccariello
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