Ogni giorno al telegiornale aumentano i casi di femminicidio, una macabra moda che si propaga:
L’indignazione scaturisce dalla constatazione che è l’uomo ad uccidere la donna (in teoria il sesso “debole”), sono difatti rari i casi in cui la donna compie un delitto (a parte gli orribili infanticidi) e tendenzialmente la vittima di un omicidio femminile è sempre l’uomo.
Fortunatamente è un lungo periodo che non si sente più parlare serial killer italiani.
Poco prima della seconda guerra mondiale l’Italia ebbe un raro (forse unico) caso di serial killer femminile: probabilmente l’episodio è scarsamente conosciuto, poiché sono passati troppi anni e per l’estrema efferatezza delle circostanze delittuose, capaci di impressionare perché simili al copione di un film horror.
Innanzi tutto è importante narrare l’inquietante biografia dell’assassina.
La quarantacinquenne Leonarda Cianciulli viveva a Correggio (un paese in provincia di Reggio Emilia) ed era reduce da un’esistenza sfortunata, in alcuni casi probabilmente “gonfiata ad arte” dagli avvocati durante il processo.
Figlia indesiderata, la madre dimostrò totale indifferenza nei suoi confronti, al punto che la piccola tentò più volte il suicidio in maniera al quanto artigianale (impiccandosi per due volte, ingoiando stecche di legno e mangiando cocci di vetro): seppur probabilmente i tentativi avvennero nel periodo successivo al processo.
Sposatasi e non desiderata dalla famiglia del marito, la giovane fu maledetta dalla madre poco prima del matrimonio: la coppia si trasferì dalla natale Irpinia sino a Correggio, probabilmente per sfuggire alle numerose dicerie e accuse mosse nei confronti della Cianciulli (era definita una donna arrogante, dai facili costumi e compì numerose truffe oltre ad una rapina a mano armata).
Attirandosi la commiserazione degli abitanti, la Cianciulli fu sfortunata nelle gravidanze: le morirono i primi tredici figli (tre aborti spontanei e dieci morti nella culla) e in seguito riuscì a crescerne solamente quattro, grazie ad un misterioso incantesimo compiuto dalla “strega” del paese.
I quattro figli sopravissuti furono amati e protetti, a qualsiasi prezzo: pare che le apparisse in sogno la madre defunta e le imponesse di “salvare” la prole a costo di sacrifici umani.Volendo evitare che uno dei figli andasse in guerra, la folle madre cominciò i delitti («Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre»).
Leonarda Cianciulli s’identificava nella Dea greca Teti che bagnava i figli nel fiume Stige per dargli l’immortalità, lo stesse fece lei col sangue delle proprie vittime.
Il suo aspetto docile ingannava i paesani: li accoglieva in casa, preparando dolciumi, leggendo tarocchi e dando saggi consigli a donne infelici che si confidavano con lei.
Negli anni dal 1938 al 1941, l’improvvisa sparizione di tre donne sole e abbienti (Ermelinda Faustina Setti, Francesca Clementina Soavi e il tenore Virginia Cacioppo) e la loro amicizia con la signora Cianciulli, insospettì gli inquirenti: appariva impossibile che una donna alta 1,50 e di 50 kg, potesse compiere degli omicidi.
I sospetti (nel frattempo aumentati dopo il ritrovamento a casa della signora d’alcuni oggetti appartenuti alle vittime) furono confermarti, quando l’assassina diede al marito (come saldo di un debito) i buoni del tesoro di una delle vittime: inizialmente la donna rifiutò sdegnata l’accusa, ma poi confessò e fu arrestato anche il figlio, complice delle follie materne.
Alla tragedia subentrò l’orrore, quando la donna spiegò con folle lucidità come compiva i delitti e come riusciva a far scomparire i cadaveri delle povere vittime.
La scusa era sempre la stessa.
Le donne erano avvicinate con la speranza di conoscere un uomo che le volesse sposare (la prima vittima) o col miraggio di un posto di lavoro lontano (le altre vittime): le donne si fidavano e le affidavano i loro risparmi, dovendo allontanarsi per sempre dal paese e cambiare vita.
Alle vittime di non rivelare a nessuno il segreto (seppur fortunatamente, due di loro non mantennero la promessa): la Cianciulli, attraverso suo figlio, spediva delle finte lettere ai famigliari delle sfortunate, ove le presunte mittenti raccontavano di stare bene e di non voler mai più tornare al paese.
Inizialmente intontite da un sonnifero, le vittime erano uccise con un’ascia e tagliate meticolosamente in nove pezzi: in seguito i resti erano gettati a bollire in un pentolone di soda caustica a 300 gradi, creando quindi delle saponette con allume di rocca e pece greca.
I resti erano dispersi nel pozzo nero ed il sangue conservato, cucinato (con latte e cioccolato) e trasformato in deliziosi biscottini che erano offerti alla gente del paese ed ovviamente ai figli, nel tentativo di regalargli l’immortalità.
Leonarda Cianciulli è conosciuta come “la saponificatrice di Correggio”.
La storia può apparire incredibile o leggendaria ed è quindi giusto lasciar “descrivere” alla stessa assassina i propri efferati delitti.
«Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe ed io».
La donna non era evidentemente pentita dei propri delitti, poiché davanti allo sconvolto commissario di polizia osò affermare..
«Ebbene me le ho mangiate le mie amiche, se vuole essere mangiato anche lei, son pronta a divorarlo […], le scomparse me le avevo mangiate una in arrosto, una a stufato, una bollita..».
La folle ebbe il coraggio di assumere un atteggiamento umorista e macabro quando si riferì alle circostanze del terzo delitto..
«Finì nel pentolone, come le altre due (…); ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce».
Il processo avvenne il 12 giugno del 1946: davanti ad un’accusa che definì la malefica donna un’avida e capace di uccidere per denaro, l’imputata continuò a dichiarare la volontà di aiutare gli amati figli.
Narra la leggenda che vantandosi delle capacità si smembrare i corpi umani, la Cianciulli fu portata in un obitorio dove spezzettò un cadavere in soli dodici minuti.
La donna fu condannata a trent’anni di galera, riconoscendogli la semi infermità mentale, di cui tre in manicomio criminale: la donna morì nel 1970 di apoplessia cerebrale nel manicomio di Pozzuoli e nessuno ne reclamò la salma.
Una suora presente al manicomio durante la sua reclusione, raccontò il seguente episodio.
«Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi, che però nessuna detenuta mai si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica».
Rey Brembilla
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