Il Presidente Giorgio Napolitano osservando l’eccessiva sovrappopolazione delle carceri italiane, ha proposto un provvedimento d’amnistia, scatenando un gran vespaio.
Alcuni esponenti del “Movimento cinque stelle” hanno accusato il Presidente di voler salvaguardare Berlusconi: addirittura i membri più rigidi del “Partito Democratico” hanno smentito queste illazioni.
Probabilmente i politici penta-stellati non lo sanno, ma in passato fu un altro esponente comunista, Palmiro Togliatti, ad indire un’amnistia fin troppo larga.
Era il 22 giugno 1946 e Palmiro Togliatti era ministro della giustizia del primo governo d’Alcide De Gasperi: il desiderio di dare un colpo di spugna all’annosa guerra civile, ispirò l’idea di un atto pacificatore.
Il paradosso vuole che proprio l’allora leader del Pci (nelle cui file militavano la maggior parte degli ex- partigiani) dovette occuparsi di questo provvedimento.
I reati si definivano dal 8 settembre del 1943 (fatidico giorno dell’armistizio) sino al 18 giugno 1946 (la data fu prorogata più avanti): la colpa si estendeva al collaborazionismo col nemico o concorso in omicidio.
Togliatti studiò il provvedimento senza coinvolgere nessun esponente del suo partito, al punto che Pietro Secchia (l’esponente dell’ala più estremista del Pci) sostenne che la burocrazia ministeriale aveva costretto Togliatti ad un’amnistia ambigua e la base del partito protestò vivamente, costringendo il segretario ad estenuanti spiegazioni.
In particolare la revisione della sentenza di condanna a morte verso Giuseppe Sardi (segretario del “Fascio repubblicano cittadino”) e d’altri cinque fascisti, provocò dei tumulti.
Tra il 9 luglio e il 28 agosto, alcuni partigiani piemontesi si riunirono nella provincia di Cuneo, arroccandosi nel paese di Santa Libera: De Gasperi fu costretto a qualche concessione per fermare l’imbarazzante reazione.
Addirittura scoppiò uno sciopero generale a Casale Monferrato: il paese fu circondato da polizia, carabinieri e dodici carro armati dell’esercito; grazie alla mediazione del segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio, la popolazione fu calmata e si evitarono spargimenti di sangue.
Tutto questo nonostante Togliatti, il 2 luglio del 1946, emanasse una circolare che invitava a maggiore attenzione nei provvedimenti di grazia.
Imperturbabili e apparentemente insensibili alla protesta, i politici italiani allargarono ancora di più l’amnistia in successive occasioni.
Il luogotenente Re Umberto II nel 6 settembre 1946, allargò l’amnistia sino al 31 luglio 1945.
Il 7 febbraio 1948 fu il turno di Giulio Andreotti (verso cui le numerose e ipotetiche imputazioni sembrano “escludere” questa), allora giovanissimo sotto segretario alla presidenza del consiglio, che estinse i reati ancora pendenti dopo l’amnistia di Togliatti del 1946.
Il 18 settembre 1953, l’allora presidente del consiglio Giuseppe Pella approvò l’indulto e l’amnistia proposti dal ministro della giustizia Antonio Azara: si slittò sino al 18 luglio 1948.
Il 4 giugno del 1966, in pieno governo di centro-sinistra, si approvò l’ennesima e ultima amnistia riguardante la guerra civile post-bellica.
A parte il provvedimento promulgato dal luogotenente Re Umberto II, le successive amnistie furono votate con un Pci all’opposizione (seppur sia clamoroso il voto del 1966 poiché anche il Partito Socialista contribuì a salvare dei fascisti): nonostante questo è paradossale che la prima amnistia fu promossa da Palmiro Togliatti.
Il paragone con Giorgio Napolitano regge fino ad un certo punto: il Presidente non ha accennato ad amnistia verso Berlusconi e l’ex-premier non è un assassino fascista.
Il paragone però fa riflettere poiché neppure sullo stesso Togliatti si poteva pensare ad un simile atto garantista: il fatto è ancora più curioso se si pensa che lo stesso leader comunista nel 1956 incitava l’Urss ad uccidere i rivoltosi in Ungheria.
Rey Brembilla
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