Elena, 22 mesi di Teramo. Jacopo, 11 mesi di Perugia. La scena si ripete per due volte in pochi giorni. Nell’ordinaria quotidianità qualcosa è sfuggito. Due padri, presi dal lavoro, hanno dimenticato di lasciare i bimbi a scuola. Cinque ore sono tante, troppe, per bambini così piccoli. Il caldo eccessivo ha causato un malore ai bambini che, inermi nei loro seggiolini, hanno perso la vita. Nonostante i soccorsi, per Elena e Jacopo non c’è stato nulla da fare. Ma sono solo le ultime vittime di una lunga serie.
Tre anni fa una bimba di due anni è morta d’infarto a Lecco. La mamma aveva dimenticato di portarla dalla babysitter. Nel 1998 Andrea D., due anni e mezzo, ha perso la vita in una Fiat Uno in Sicilia. Anche in quel tragico caso, il padre lo aveva lasciato in una macchina con 40 gradi. Stesso destino nel 2007 per Brian e Mary, entrambi di neanche un anno, lasciati in macchina consapevolmente dalla madre che non poteva mancare a lavoro. “Fortunati”, invece, i tre figli di due, tre e cinque anni di una coppia di tunisini. Salvati in tempo da un gruppo di passanti, hanno rischiato la vita perchè i genitori erano in giro a fare shopping. Salvati, anche, il figlio della moldava che, nel 2010, aveva lasciato solo il piccolo di due anni nel parcheggio di Ikea a Roma e Elisabetta, di 15 mesi, che nel febbraio di quest’anno ha rischiato la vita in un parking di Treviso. Risposta del padre della bambina ai poliziotti? “E’ mia figlia, sono fatti miei!”. Il 25 maggio 2011 un neonato di neanche tre mesi è stato salvato da alcuni passanti che hanno sfondato il vetro dell’auto, dopo aver sentito il pianto disperato del bimbo. L’abitacolo contava 50 gradi, un forno crematorio per un bambino così piccolo. Tutto questo è accaduto nel parcheggio di Mediaworld Lodi, a Cordegliano Laudense.
Abbiamo voluto ricordarli tutti perchè ognuno di loro aveva il diritto di “testimoniare” una realtà alquanto sconcertante. A parte i casi in cui il piccolo viene lasciato in macchina volontariamente, l’opinione pubblica si domanda come sia possibile dimenticare un bambino in un’auto. Sui giornali sono stati interpellati numerosi psicologi per analizzare questo strano fenomeno. In questi casi non c’è volontà. È un fatalismo causato dalla mente dell’uomo che, concentrata sull’obiettivo del lavoro, rimuove completamente il pensiero della responsabilità dei figli.
In quasi tutti gli eventi tragici è sempre il padre che, involontariamente, dimentica il figlio. Cosa che, difficilmente, accade ad una donna. Come si legge dall’intervista, su La Repubblica, al Professor Ammaniti: “Le madri sempre, ma sopratutto nei primi anni di vita, hanno una sorta di sensore biologico, genetico, che le porta a ricordarsi dei figli in ogni caso. Anche in situazioni di forte stress e di giornate convulse”. Il problema, comunque, resta a monte. La vita frenetica porta i genitori a trattare bimbini, anche di pochi mesi, da adulti. I ritmi di un piccolo non possono essere uguali a quelli di un uomo o di una donna. Bisogna prendere coscienza che pochi mesi di vita, ma anche due, quattro o sei anni sono pochi. Devono avere i loro tempi per mangiare, per giocare, per dormire. Bisogna scandenzare i nostri ritmi in base ai loro e non il contrario. Molti genitori non sono disposti a rinunciare alle loro libertà in questa società e, purtroppo, per questo motivo dobbiamo abituarci ad ascoltare bilanci sconcertanti sulla mortalità infantile. Nel caso di Elena e Jacopo non c’è cattiveria. Devono essere trattate come situazioni eccezionali che sconvolgono la vita di chi porterà sulla coscienza la morte del proprio piccolo.
E le madri in tutto questo? Sostengono il marito. I funerali di Elena e Jacopo sono la riprova della fatalità del caso. Lo choc ha trovolto entrambi le coppie di genitori. Si sostenevano, cercavano di darsi conforto. Bisogna considerare anche che la madre ha subito inerme la perdita, ha bisogno di sostegno, sente la necessità di tenere accanto a sè qualcuno che prova il suo stesso dolore. Il marito, in questo caso, è il miglior pilastro. Il padre, dal canto suo, avrà sempre il senso di colpa per quello che ha fatto. Lo leggerà negli occhi delle persone, dei figli, della famiglia. Già è dura elaborare il lutto per la morte di un figlio, ancora di più quando ad ucciderlo è stato proprio lui per una stupida dimenticanza. Fortunatamente sono casi rari, eccezionali, ma ciò non toglie che la società attuale sta perdendo attenzione nei confronti dei figli e sta mettendo a dura prova il proprio senso di responsabilità verso i più piccoli.
Roberta Santoro
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