L’ex campione del mondo di pugilato, Loris Stecca, è accusato di aver accoltellato la sua socia in affari e proprietaria di una palestra: l’ex pugile si era munito di un coltello dalla lama di venti centimetri e ha colpito la socia al fianco destro, una ferita di quindici centimetri.
Stecca sembrava pretendere denaro che non gli competeva, la lite era cominciata nella mattinata: la polizia è accorsa, salvando la donna da morte sicura.
La figura buona di Rocky Balboa, pronto numerose volte a cadere e a rialzarsi, è troppo spesso falsa e forse anche dannosa, agli occhi dei ragazzi che si accingono ad uno sport tanto pericoloso.
La storia del pugilato è costellata da episodi tragici, legati da un inquietante rapporto di “causa-effetto”, poiché (prima ancora che lo sport in se, ormai sicuro) è preoccupante il destino dei pugili dopo l’attività agonistica: le frustrazioni di un successo che sparisce si legano ai numerosi colpi ricevuti alla testa, che danneggiano il cervello e di conseguenza le relazioni sociali.
Talvolta il vecchio pugile è buono d’animo e non fa male a nessuno, ma alcuni fattori di popolarità (il dolore di un successo abbandonato, i colpi ricevuti e l’eccessiva fama) lo corrodono dentro.
Tiberio Mitri (campionissimo a cavallo tra gli anni ’40 e ’50) subì la morte di due figli (droga e aids) e lui stesso scelse di togliersi la vita, travolto dal treno Roma-Civitavecchia (stessa sorte accadde allo spagnolo Josè Manuel Urtaine che si lanciò da un grattacielo).
Un esempio triste è Emile Griffith (campione negli anni ’50) il cui letale combattimento con Benny Paret (deceduto a causa dei suoi pugni) ed un’omosessualità latente (scandalosa nel mondo del pugilato), lo ha trascinato nell’estrema povertà e demenza senile.
Il glorioso Duillio Loi (che perse pure lui un figlio, vittima consapevole degli “anni di piombo”) ed il mitico Cassius Clay, furono entrambi colpiti dal morbo di Parkinson.
Troppe volte il pugile è un violento, che trova il dirompente sfogo sul ring e fuori del ring.
Un caso simbolo è Mike Tyson che fu accusato di numerosi reati, tra stupro e guai automobilistici; la violenza del pugile di colore fu significativa nel famigerato incontro con Evander Holyfield: quando esasperato dalle provocazioni del collega, gli staccò un orecchio con un morso.
Purtroppo anche Mike Tyson non è stato risparmiato da tragedie famigliari, data la tragica morte della figlia di quattro anni (soffocata, ironia della sorte, da un macchinario ginnico del padre).
Un destino crudele ha atteso anche Carlos Monzon (campione degli anni ’70): anche lui d’animo violento ha addirittura ucciso la moglie nel 1988 ed ha avuto una fine tragica (probabilmente causata da una mente non lucida), perendo in un rocambolesco incidente stradale nel 1995.
Sonny Linston fu segnato fin dall’infanzia, da tante botte e da un grave caso d’incomprensione famigliare (i genitori non conoscevano la sua data di nascita e addirittura vi è incertezza sul suo nome reale): il pugile nero ebbe un passato da delinquente (voci confermate parlano anche di un suo arruolamento nella mafia) ed era famoso per la devastante potenza dei suoi pugni, uniti ad uno sguardo che provocava autentico terrore.
Come vuole una tragica prassi, anche Sonny Linston morì nel mistero: ritrovato a casa sua dai famigliari, dopo lungo periodo di silenzio (era già in avanzato stato di decomposizione, il che fa riflettere sulla periodicità dei rapporti famigliari) sembrò vittima d’assunzione di droga, di spaccio o di regolamento malavitoso di conti.
Un terzo caso riguarda la figura del ragazzo semplice e ingenuo che improvvisamente scala i gradini del successo ed è fatalmente stordito dalla popolarità, magari legandosi ad ambienti sbagliati.
Oscar Bonavena, un pugile non vincente ma celebre per l’immagine “alternativa” (era chiamato “Ringo” per la capigliatura simile al batterista dei Beatles), era assiduo frequentatore di donne e locali notturni.
Fu amico di personaggi loschi tra cui l’ex manager Joe Conforte: la probabile relazione dell’ex pugile con la compagna di quest’ultimo, provocò l’istinto di vendetta del manager che nel 1976 (probabilmente) assoldò il buttafuori di un bordello per assassinare Oscar Bonavena.
La casistica include anche le figure ingenue ed incapaci di amministrare la popolarità, anche in termini economici: il campione dominicano Roberto Duran Samaniengo (detto “mano di pietra” o anche “mano bucata”, si potrebbe dire) fu vittima di una situazione economica talmente precaria, che fu costretto a salire sul ring fino al 2001 (cinquantenne dovette ritirarsi a causa dei postumi di un incidente stradale).
Paradossalmente il caso di Loris Stecca e degli altri campioni citati, denuncia come la boxe non sia solamente pericolosa dentro il ring, ma soprattutto fuori: è probabilmente l’unico sport che diventa pericoloso, quando l’atleta smette d’essere tale per ritornare uomo.
Riproduzione Riservata ®