“Sono nato in una casa con 17 persone. Ecco perché ho questo senso della comunità assai spiccato. Ecco perché quando ci sono meno di 15 persone mi colgono violenti attacchi di solitudine”.
Nato a San Giorgio a Cremano nel 1953 Massimo Troisi visse in una famiglia molto numerosa: oltre che con i suoi genitori e cinque fratelli condivideva, infatti, la casa con i nonni ed una coppia di zii e i loro quattro figli. Già durante l’adolescenza, il suo animo sensibile si espresse con la stesura di alcune poesie, per le quali si ispirò al grande Pasolini, così come precocemente emerse il suo amore per il teatro, che lo portò a recitare nel 1969 nell’oratorio della Chiesa di Sant’Anna, dove conobbe il suo più grande amico, l’attore Lello Arena, e i colleghi Nico Mucci e Valeria Pezza, con i quali fondò il gruppo teatrale “I Saraceni”.
Il successo arrivò con Lello Arena ed Enzo Decaro – con i quali creò il celebre trio “La smorfia”, che debuttò al San Carluccio di Napoli per poi approdare in molti teatri italiani – e raggiungere l’apice prima con la trasmissione radiofonica Cordialmente insieme, poi in televisione con trasmissioni quali Non stop, La sberla e Luna Park . Proprio in questo fruttuoso periodo per la sua carriera professionale, gli fu diagnosticata un’anomalia al cuore, che lo costrinse a sottoporsi ad un delicato intervento alla valvola mitralica, nel 1976. Sciolto il trio, Troisi iniziò a dedicarsi al cinema: al 1981 risale il suo debutto cinematografico con il film Ricomincio da tre, al quale lavorò come attore, sceneggiatore e regista. Nonostante la separazione e le diverse carriere intraprese, i tre amici de “La Smorfia” furono sempre in ottimi rapporti; in particolare, Lello Arena gli fu vicino nell’affrontare le difficoltà della malattia e lo accompagnò più volte in America per i periodici controlli cardiologici.
Fu, inoltre, dotato di straordinaria ironia e riuscì persino a ridere della propria morte: celebre è, infatti, il falso documentario, Morto Troisi, viva Troisi!, che girò nel 1982 per la trasmissione di RaiTre “Che fai? Ridi?” in cui l’attore immagina la sua prematura morte, mentre i suoi amici e colleghi Renzo Arbore, Roberto Benigni, Lello Arena raccontano agli spettatori curiosità e difetti del Massimo da loro conosciuto, inscenando divertenti gag; da ricordare quella di Benigni, che compare dietro un vetro per garantirsi l’anonimato e poter sbandierare liberamente ai quattro venti i peggiori difetti dell’amico. Gli anni successivi sono un susseguirsi di film di successo: Scusate il ritardo (1983), Non ci resta che piangere (1984), Le vie del Signore sono finite (1987); e poi Splendor (1988), Che ora è? (1989) e Il viaggio di capitan Fracassa (1990) per i quali collaborò con Ettore Scola e Marcello Mastroianni.
La sua produzione è sicuramente autorappresentativa, fedele alla tradizione di quegli attori, registi, sceneggiatori che hanno fatto del cinema uno strumento per comunicare con gli altri, per rendere nota la propria concezione del mondo e della vita. Molti hanno intravisto nella sua napoletanità e nel suo stile una revisione dei grandi Totò ed Eduardo – nonostante Massimo stesso smentisse con sarcasmo tale paragone: “Se mi accostano a Totò ed Eduardo a me sta benissimo: sono loro che si offendono” – alle cui figure probabilmente si ispirò nel portare in scena il personaggio dell’antieroe, timido e goffo, autentico e semplice, coraggioso e ironico. Riuscì sempre, nelle sue interpretazioni, ad esprimere il sincero amore per la propria città, affidandolo alle parole e alle emozioni di personaggi costretti a scappare da Napoli per necessità economiche, pur portandola sempre nel cuore, come un porto sicuro da tutelare, nella speranza di poterne constatare, un giorno, il cambiamento. Andando oltre il classico pregiudizio che pesa sui Napoletani, Troisi, pur mettendo in luce le urgenze che da sempre affliggono la sua città, ha voluto, infatti, farsi testimone della possibilità di risolverne i problemi, di agire concretamente per dare inizio ad un cambiamento reale. Il suo “essere napoletano” gli causò inevitabili critiche da parte di chi riteneva che la napoletanità dei suoi personaggi fosse troppo prorompente: in realtà, in tutte le sue opere, Massimo Troisi riuscì sempre a conciliare le sue due anime, di italiano e di napoletano, conservando sempre delle proprie origini, il dialetto e la gestualità. Fu, infatti, un attore che recitava soprattutto con il corpo, comunicando con l’espressività del volto più di quanto, come si suol dire, avrebbero potuto fare mille parole.
Nel 1994 girò il suo ultimo film, Il postino, accanto a Philippe Noiret e Maria Grazia Cucinotta: il film, tratto dal romanzo di Antonio Skàrmeta, vede Troisi impegnato nel ruolo di Mario Ruoppolo, postino dell’isola di Procida che, nel periodo di esilio italiano del poeta, divenne grande amico di Pablo Neruda. Grazie alla splendida interpretazione – per portare a termine la quale l’attore fu costretto a farsi sostituire, in alcune scene, da una controfigura, proprio a causa della sua malattia – Massimo Troisi fu candidato all’Oscar Postumo come miglior attore; l’Oscar non fu assegnato – la statuetta fu vinta per la migliore colonna sonora – ma in compenso il film e il postino interpretato da Troisi furono largamente acclamati dalla critica e dal pubblico.
Prima della sua prematura morte, Massimo si sentiva molto affaticato: qualcuno disse all’epoca che la stanchezza delle riprese de Il postino ne avesse peggiorato le condizioni di salute (anche perché per interpretare il suo ultimo ruolo l’attore rimandò un importante intervento chirurgico), tanto da dichiarare che Troisi fosse morto “per” il cinema; il fratello, invece, resta convinto che il fortissimo desiderio di Massimo di interpretare il ruolo del postino di Neruda derivasse, forse, proprio da un presentimento, dal timore che sarebbe stato il suo ultimo film. Troisi si spense a 41 anni mentre si trovava a casa della sorella. Se ne andò nel sonno, sereno come era sempre stato in vita; tutti i suoi colleghi furono amici sinceri e il dolore che sconvolse il mondo della spettacolo il giorno della sua scomparsa ne fu la dimostrazione più evidente. Come scrisse Benigni in una poesia dedicata all’amico Massimo: “Per lui non vale il detto che è del Papa: morto un Troisi non se ne fa un altro”.
Sara Di Somma
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