Finalmente una buona notizia sul versante lavoro. Le donne scalano la classifica e si posizionano tra i primi posti in Italia. Peccato che le donne siano straniere. L’imprenditoria rosa ha decisamente abbassato anche la sua età media. Nell’80% le donne hanno meno di 50 anni, mentre una su sei non ha neanche raggiunto i trent’anni.
Non è detto che questa spinta verso l’alto sia negativa per la popolazione al femminile del nostro Paese. Può essere incentivante e di notevole aiuto affinché siano spronati l’ingegno e la determinazione che solo noi donne sappiamo avere. Loro sono quasi centomila. Per la precisione possiamo contare su 98.294 donne in carriera che portano alto l’umore in un periodo di crisi in cui il lavoro sembra essere molto lontano per molti. Sono tutte straniere e stanno facendo enormi passi avanti in settori, un tempo, prettamente maschili. Nel terzo settore, nell’industria e nell’agricoltura è cresciuto dai tre ai sei punti percentuali. I dati Censis e ConfCommercio evidenziano anche la distribuzione geografica in cui le imprese aprono. Decisamente più alta la presenza in Abruzzo, Lazio e Friuli-Venezia Giulia con una percentuale che va sopra ai dieci punti.
Fondamentale è cogliere il significato di questi dati. Come sottolineato da Patrizia Di Dio, neopresidente di “Terziario donna di ConfCoomercio”, lo straniero non ruba posti di lavoro, ma li crea. Ancora più incoraggiante in quanto sono donne e, quindi, più attente ai bisogni del Paese e dei suoi lavoratori. Punto aggiunto a favore è proprio il fatto di essere “straniere”, esenti dagli stereotipi nazionali della visione femminile e, per di più, libere di operare come credono. Non a caso un’imprenditrice su dieci è nata e cresciuta in un Paese diverso dall’Italia. In particolar modo dalla Cina, dalla Romania, dalla Svizzera e, a parità percentuale, dal Marocco e dalla Germania.
E le donne italiane? Sono circa 857.230 imprese individuali femminili. Il dato corrisponde ad un quarto delle imprese individuali totali con una capacità superiore del 25 percento di superare periodi di crisi rispetto a quelle maschili. Le donne “a comando” si registrano maggiormente nel settore commerciale con oltre trenta punti percentuali; seguono l’agricoltura ed i servizi per la persona. Si concentrano soprattutto al Nord, ma il cardiogramma lavorativo femminile ha registrato segni di rivoluzione in Calabria con un aumento del 0,6%.
La potenza femminile si sente con questi dati. Il reale problema sorge quando, con la presenza di un figlio, la donna si trova costretta a lasciare il lavoro perché è inculcato nella storia di questo Paese che debba occuparsi dell’educazione della prole. Le donne straniere non hanno questi problemi. Le aziende “pilota” a cui sono abituate nei Paesi d’origine sono fornite di asili nido aziendali per incentivare il ritorno dalla maternità e per favorire la carriera. Nell’avviare un’impresa individuale in Italia, la straniera costituirà un ambiente di lavoro che terrà conto di tutte le necessità della donna, quale soggetto lavorativo discriminato (nel suo Paese) per la sua capacità di procreare.
Come sottolinea anche il neopresidente Patrizia Di Dio: “La donna immigrata appare come interprete principale di un lento e silenzioso sviluppo all’interno della società e la sua integrazione agevolerà il processo di edificazione e consolidamento di una società realmente multietnica e interculturale. Il mercato è uno dei pochi settori in cui a differenza di altri, si possono affermare le pari opportunità. Infatti il mercato è meritocratico, premia le capacità imprenditoriali, il know how, indipendentemente dal sesso, dall’etnia, dalla religione”.
Roberta Santoro
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