Silvio Berlusconi ha posto un nome come ideale Presidente della Repubblica, date le probabili dimissioni di Giorgio Napolitano: Giuliano Amato.
L’uomo politico avrebbe una peculiarità se fosse eletto al Quirinale: sarebbe uno dei pochi capi di stato ad aver dimostrato incoerenza durante la propria carriera politica.
Analizzando difatti le biografie dei passati presidenti della Repubblica, quasi tutti hanno dimostrato coerenza cristallina durante la loro carriera politica: non è un caso, anche grazie al loro equilibrio, che sono saliti al soglio più importante (un’eccezione fu Scalfaro, che da uomo conservatore appoggiò governi di centro sinistra, o di Cossiga, che cominciò a “picconare” dopo un lungo periodo di tranquillità).
Giuliano Amato è ormai un po’ di anni (dal 1993, quando finì la sua prima esperienza di governo) che svolge un fruttuoso ruolo di super partes, ma la sua precedente carriera fu curiosa e assolutamente non moderata.
Esordì giovanissimo nel “Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria” (P.s.i.u.p.), un movimento che si distaccò dal Psi nel 1964 (quando il partito socialista si alleò strettamente alla Dc, abbandonando ideali troppo progressisti) e si allineò su posizioni ancora più a sinistra del Partito Comunista: Amato quindi nacque come estremista di sinistra.
Alla metà degli anni ’70 si spostò nel Psi, avvicinandosi ad Antonio Giolitti: il nipote dello storico presidente del consiglio, fuoriuscito dal P.c.i. (in seguito all’insurrezione in Ungheria) si spostò alla sinistra del partito di Nenni.
Nel 1979 avvenne la svolta: denunciando gli scandali che già affioravano dal partito, non ne uscì (come coerentemente fecero altri) ma cominciò a scalarne le gerarchie.
Dal 1983 entrò in parlamento e si avvicinò a Bettino Craxi, chiaramente lontano dalle sue idee originali: dapprima ne fu antagonista ma poi, improvvisamente ne entrò nelle grazie; fu sotto il patrocinio di Craxi che divenne a sua volta presidente del consiglio nel 1992.
In seguito terminò il suo percorso: dimenticandosi presto della scomoda amicizia con Craxi e creandosi una figura di uomo sopra delle parti.
E’ forse poco indicato che un uomo talmente mutante dal punto di vista ideologico, possa diventare Presidente della Repubblica: tra l’altro Amato ha ammesso di percepire sedici mila euro di stipendio il mese, seppur cinque mila li versi (a quanto dice) regolarmente in beneficenza.
Altro giro di valzer tipicamente politico è compiuto dal Movimento Cinque Stelle: a seguito delle ultime e sconfortati elezioni, europee e amministrative.
Il movimento sbandierò fin dall’inizio alcuni principi: nessun patto sarebbe stato compiuto con la vecchia partitocrazia e il movimento non avrebbe avuto alcun “padrone”, se non Beppe Grillo come semplice portavoce.
Già dopo le europee, qualcosa cambiò: il movimento tentò un dialogo col Partito Democratico sulle riforme costituzionali, giustificando l’improvviso voltafaccia con uno stratagemma per “scoprire” il vero volto del Pd.
E’ di questi giorni la notizia che Beppe Grillo si è detto improvvisamente “stanchino” (dopo la minaccia di nuove espulsioni e i risultati deludenti emiliani) e ha deciso di creare un “direttorio” di parlamentari fidati che lo affianchino nelle decisioni (e magari un domani lo sostituiscano).
La decisione infrange due regolamenti del movimento penta stellato: la nomina è stata imposta dall’alto (e non decisa dal web, ma solo votata) e soprattutto, per la prima volta, qualche “cittadino” sarà sopra gli altri.
Cambiamento d’idea personale di Grillo o strategia elettorale di marketing? Dato il precedente, si potrebbe pensare al secondo, seppur sia, più che mai, in contraddizione con lo spirito del Movimento Cinque Stelle.
Rey Brembilla
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