“Vinceva ogni disgusto pur di essere contagiata ed ecco che il suo sacrificio è inutile. Giustamente lei non si uccide, perché voleva morire dello stesso male. Amava più la lebbra, del lebbroso”. Queste le parole di Guido Ceronetti. Questa la citazione del 1979, ma facente riferimento ad un libro del 1891. La storia raccontata è ambientata in un’isola greca dell’Egeo conosciuta, appunto, come Samo. Tratta dell’amore di una splendida donna per un lebbroso, il quale cerca di contagiarla per gelosia. L’innamorata non gioisce di non ricevere il “grande dono” dell’uomo.
Il grande dono era la lebbra. La malattia ha sviluppato, con il tempo, nuove “perversioni”. Oggi si prediligono malattie sessualmente trasmissibili come l’Aids, la gonorrea e la sifilide. Il concetto di base non cambia. Si tratta di parafilia. La Dsm-IV – American Psychiatric Association – ha cercato di non utilizzare termini giudicanti, restringendo il riferimento alle situazioni in cui vengono utilizzati oggetti non umani, coinvolti bambini o adulti non consenzienti, oppure afflitti dolori a se stessi o al partner. Può raggiungere tre stadi: lieve, moderata e grave.
In sé la sindrome di Samo non è una malattia. Viene considerata tale nel momento in cui si presenta con una violenza fisica o psicologica nei confronti del partner oppure in modo compulsivo tanto da essere incontrollabile. Come si manifesta? Nell’avere rapporti sessuali continui con una persona malata, sperando di contrarre la stessa malattia. Si finisce per amare più quest’ultima dello stesso partner. È il sacrificio d’amore spontaneo e, per loro , altruista. In contrapposizione, forse per facilitare inconsciamente il rivestimento del ruolo della martire innamorata, si tende a cercare un partner che non si preoccupa di poter contagiare la persona con cui si relaziona sessualmente. Da specificare che si tratta di una sindrome che colpisce maggiormente le donne, anche se, negli ultimi anni, si sta estendendo anche agli uomini.
La causa scatenante non è riscontrabile all’atto dei primi sintomi, bensì nel passato e negli eventuali traumi – quali violenze o abbandoni – che hanno scatenato queste strane forme della sessualità. L’esclusività del rapporto è una di queste. Soprattutto se l’elemento speciale e unificante è la stessa malattia contagiosa. Tutto ciò che può essere d’intralcio al sacrificio deve essere eliminato. È per questo che l’uso del preservativo è bandito nei rapporti sessuali tra persone “affette” dalla sindrome di Samo.
Il modo consigliato per affrontare il problema è uno psicoterapeuta. La mancanza di razionalità fa sì che siano le persone vicine a condurre la persona verso lo specialista. Quest’ultimo tenterà, attraverso diverse sedute, di far prendere coscienza della sindrome. Come in ogni situazione problematica, la prima cosa a cui arrivare è l’ammissione di essere affetti da un eventuale disturbo. Successivamente il percorso sarà differente per il singolo paziente. Sarà protratto verso l’emersione dei motivi che hanno portato al sacrificio estremo di sé. Fondamentale, soprattutto per le malattie psico-emotive, è che lo psicoterapeuta non assuma un atteggiamento giudicante nei confronti del paziente.
Roberta Santoro
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