Dopo quattro anni di silenzio, torna sulle scene Ryan Adams, per molti solo un’assonanza con il più celebre Brian, per pochi un fine cantautore che ha vissuto il suo periodo d’oro fra il 2001 e il 2004.
Nel frattempo il meno noto Ryan ha sposato Mandy Moore, una ex reginetta del pop mieloso simil Britney Spears, e si è tinto i capelli più volte, ripetutamente. Ashes & Fire si presenta come un disco della presunta “maturità” artistica, uno di quei dischi che vorrebbe farti pensare a canzoni banali ad un primo ascolto ma geniali una volta assimilate per bene. Il meccanismo purtroppo si inceppa malamente al primo giro di vinile. Accendo l’iPod. Lucky Now pretende di diventare un classico, invece è solo una noia mortale. La prima traccia, Dirty Rain, si trascina stancamente in quel finto intimismo cui il mondo può fare a meno, visti i tempi. La Title Track non discosta molto dalla prima. Il vero problema di questo disco, come per i dischi che si sono succeduti dopo il fantastico Rock And Roll del 2003, è che tutti i pezzi si somigliano.Come Home convince maggiormente anche per un testo semplice ed efficace, così come Do I Wait, una ballata ispirata sulla quale si erge un solo di chitarra sincero e sentito. Con Save Me torniamo alle flebo endovena, ennesimo pezzo finto folk acustico lento, lentissimo e quasi “lagnoso”, non se può più. Comincio a diventare nervoso e skippo le tracce sull’iPod in cerca di qualche guizzo di vita. E’ proprio il caso di dire “save me”…
L’intero disco, se non vogliamo parlare della composizione grossolana e ripetitiva, presenta arrangiamenti davvero scarni, ma di quello scarno che proprio non aggiunge nè toglie nulla alla storia del cantautorato americano. Acustiche, qualche elettrica, qualche tastiera, una batteria banale e nulla più, non un colpo di genio, non un particolare strumento che lascia stupiti.
Adams manca completamente di quel fattore magico che permette di tenerti in testa un ritornello per giorni e mesi, una cosa non di poco conto per chi ambisce ad essere additato come il nuovo Bob Dylan o il nuovo Springsteen (altro problema: chi vuole essere da grande, Ryan Adams?) .
Davvero poco per quattro anni di silenzio e di tinte per capelli. Sperando che il buon Adams ci lasci in pace e non ci trascini nella sua solita bulimia artistica da 4-5 dischi in 12 mesi, un altro fattore che lo ha impoverito nel corso della carriera.
Marco Della Gatta
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