La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi Specifici di Apprendimento e la sua principale manifestazione consiste nella difficoltà che hanno i soggetti colpiti a leggere velocemente e correttamente ad alta voce. Tali difficoltà non possono essere ricondotte a insufficienti capacità intellettive, a mancanza di istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali.
Dato che leggere è un complesso processo mentale, la dislessia ha svariate espressioni. Questa sindrome sembra strettamente legata alla morfologia stessa del cervello. La dislessia non è una malattia o un problema mentale. Secondo la definizione più recente, approvata dall’International Dyslexia Association (IDA), “la dislessia è una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inatteso in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica nella lettura che può impedire una crescita del vocabolario e della conoscenza generale”.
Se questo problema non viene identificato nei primi anni della scuola primaria, tramite la valutazione di un esperto nel campo dei disturbi dell’apprendimento, le conseguenze possono risultare di una certa gravità. Se il bambino dislessico è sottoposto a un metodo d’apprendimento usuale, egli riuscirà solo con un grande dispendio di energia e concentrazione a ottenere risultati che per i suoi compagni e per il suo maestro sono quasi banali. Durante la scuola dell’infanzia è possibile effettuare una valutazione dei prerequisiti per l’abilità di lettura, in modo da poter intervenire precocemente e rafforzare delle competenze eventualmente carenti. Anche se la diagnosi di dislessia può essere fatta solo in classe seconda o terza della scuola primaria, i segnali del disturbo possono essere colti molto prima (quando il bambino affronta l’apprendimento della lettura e della scrittura) ed è opportuno intervenire subito; aspettando, la difficoltà aumenta. I maschi tendono a esternare di più un problema rispetto alle femmine che cercano di celarlo. I problemi maggiori nascono quando i bambini dislessici non vengono compresi, poiché spesso passano per pigri o addirittura per stupidi. Questo li porta spesso a perdere la propria autostima, a forme di depressione o ansia, a crisi d’identità e molto spesso a rigettare in toto il mondo della scuola, rinunciando in questo modo a molte possibilità che la loro capacità di memoria superiore alla media, invece, consentirebbe.
Da anni il mondo scolastico ha aperto le porte a questi problemi proponendo soluzioni e rimedi vari. In passato infatti la questione veniva liquidata dagli insegnanti con uno sbrigativo: «Suo figlio è intelligente, ma svogliato». Ci sono voluti anni per ottenere una definizione ufficiale della dislessia come disabilità, anche se minore. «La legge 170 del 2010 introduce la difficoltà di lettura, scrittura e calcolo come Dsa, disturbo specifico dell’apprendimento» spiega Giacomo Stella, docente di Psicologia clinica all’Università di Modena. «Un importante passo in avanti per un problema molto diffuso: si calcola che ci sia un dislessico in ogni classe. Adesso basta presentare una diagnosi e la scuola deve adattarsi». La legge è operativa da quest’anno: ma come sta andando? «Dipende, perché lascia uno spazio di grande discrezionalità» sostiene Alessandra Finzi, psicologa cognitiva che collabora con la casa editrice Biancoenero (biancoeneroedizioni.com) per la nuova collana di narrativa Zoom, che utilizza un carattere di stampa speciale studiato proprio per i bambini che leggono con fatica. «Ai dislessici è permesso lavorare più sull’orale che sullo scritto e usare gli audiolibri o le sintesi vocali. Ma non tutti gli insegnanti hanno la sensibilità per assegnare a questi bambini meno compiti a casa e tempi più dilatati in classe. Soprattutto con l’inglese, che ha un’ortografia ostica». Ottimista il professor Stella: «La legge contribuisce a far cambiare la cultura, com’è successo per quella sul fumo. La scuola deve abituarsi a offrire opzioni diverse.
Federica Formisano
Riproduzione Riservata ®