In principio il commercio online venne definito “commercio elettronico” e indicava il supporto alle transazioni commerciali in forma elettronica, generalmente ricorrendo a una tecnologia denominata Electronic Data Interchange (EDI, introdotta alla fine degli anni settanta) per inviare documenti commerciali come ordini d’acquisto o fatture in formato elettronico. In seguito vennero aggiunte diverse funzioni e si iniziò a parlare di “e-commerce” (contrazione di electronic commerce) per indicare appunto l’acquisto di beni e servizi attraverso il World Wide Web ricorrendo a server sicuri (caratterizzati dall’indirizzo HTTPS, un apposito protocollo che crittografa i dati sensibili dei clienti contenuti nell’ordine di acquisto allo scopo di tutelare il consumatore), con servizi di pagamento in linea, come le autorizzazioni per il pagamento con carta di credito.
Oggi i numeri dell’e-commerce in Italia sfiorano cifre da capogiro, arrivando quasi ad otto miliardi di euro. Diversi studi di settore hanno recentemente affermato che il trend è in salita e non ha subito arresti neanche dalle recenti crisi economiche. Oggi più che mai, in un contesto di crisi globale, l’e-commerce non è un’opportunità ma un’esigenza per le imprese italiane. Già nel 2010 coloro che vendono su internet avevano totalizzato un più 17 per cento, superiore alle previsioni che si fermavano a un +14 per cento. E questo significa che un utente su tre, fra chi in Italia frequenta la rete, compra online spendendo una media di 1050 euro contro i 960 dello scorso anno. A farla da padrone sono i servizi e le assicurazioni che valgono due terzi del giro di affari complessivo. A seguire c’è il settore dell’abbigliamento e poi l’editoria, la musica, gli audiovisivi l’elettronica di consumo e la “grocery” (alimentari e health&care da supermercato). Un altro dato interessante emerge dal confronto fra il nostro mercato e quelli occidentali di maggior importanza: l’e-commerce italiano cresce a ritmi superiori rispetto all’Inghilterra, che aumenta di 10 punti percentuali. La Francia si ferma invece a un più 12, la Germania a più 10, gli Stati Uniti a più 11. Tenendo però ben presente che le dimensioni di questi mercati sono molto maggiori. Il commercio elettronico italiano è, infatti, un sesto di quello inglese, che vale oltre 51 miliardi di euro, un quarto di quello tedesco (34 miliardi di euro) e meno della metà di quello francese (20 miliardi di euro).
Il boom registrato dagli studi di settore non è segno di dinamismo ma sembra frutto di un ritardo. Del resto secondo l’Eurostat, il 65 per cento dei cittadini europei collegati ad internet ha effettuato un acquisto online negli ultimi 12 mesi, contro il 35 per cento di quelli italiani. E le vendite in Inghilterra e Francia sono state superiori a quelle effettuate da noi rispettivamente di otto e quattro volte. Continua poi ad aumentare il saldo negativo tra import ed export, vista la nota carenza di offerta da parte di tante imprese italiane. In pratica ancora oggi molti marchi del Made in Italy sul web semplicemente non vendono. Assenza che, considerando quel che sta accadendo in rete, somiglia a un suicidio.
Federica Formisano
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