Non è una colpa, eppure molte donne la percepiscono come tale. La depressione post partum è un disturbo mentale in netta ascesa. È una condizione in cui la neomamma si ritrova a vivere senza riconoscere il momento preciso in cui ha “superato il limite”. I dati sono disarmanti. La percentuale è di 16 punti nel periodo della maternità; una media calcolata tenendo conto del 10-23 percento in gravidanza e del 10-40 percento post partum. Continuando a leggere le “Linee guida fondamentali per prevenzione e cura” di Claudio Mencacci – direttore del dipartimento di neuroscienze dell’ospedale “Fatebenefratelli” di Milano – l’unico dato positivo che si riesce a riscontrare è la diminuzione degli infanticidi. Se nel 2009 si contavano 14 casi – passando nel 2010 con 19 – siamo arrivati nel 2011 con solo sette vittime di questo impulso incontrollato.
“La gravidanza – dichiara Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda)- rappresenta infatti, per la donna, un periodo di profondi cambiamenti non solo fisici, ma anche psicologici. Molto importante e’ dare ascolto a ciò che si prova dentro di sé, perché tristezza, sconforto e ansia possono facilmente trasformarsi in veri e propri sintomi di depressione. Il mancato riconoscimento e il non trattamento di questa sintomatologia possono compromettere il decorso della gravidanza, con ricadute che vanno dalla scarsa cura di sé all’abuso di sostanze, fino al coinvolgimento dello sviluppo del feto e della crescita del neonato”.
Diversi i fattori di rischio che “predispongono” la futura mamma alla depressione nel corso della gravidanza e, successivamente, fino ad un anno dal parto. Sicuramente avere una avuta una storia di depressione nel passato può facilitare la comparsa del disturbo. La mancanza di sonno e l’intolleranza al dolore sono altri elementi da non sottovalutare. La stabilità può essere persa soprattutto in donne con una tendenza al perfezionismo e al controllo in quanto, proprio per l’ingestibilità della nuova condizione, diviene complicato guardare al cambiamento del proprio corpo e del proprio umore con la tranquillità razionale che meritano. Inoltre è fondamentale il contesto sociale in cui la futura mamma vive. Necessita della comprensione di coloro che la circondano, dell’empatia del proprio partner affinché possa non sentirsi sola in questo mutamento psicofisico. Le ricerche hanno anche dimostrato che – nonostante l’incidenza maggiore venga riscontrata in donne da un livello socioeconomico più disagiato – sono in ascesa i dati di puerpere in depressione appartenenti ad una classe sociale medio-alta.
Bisogna anche accennare alla maternity blues. Si tratta di un disturbo parafisiologico che tocca tra il 50 e l’80 percento delle mamme. È imputabile alle variazioni ormonali a cui sono soggette nella settimana successiva al parto. È la fase dell’elaborazione del distacco dal feto e della coscienza della realtà del bambino e dei suoi bisogni. Lo “stress” può perdurare fino a tre settimane nelle donne non affette da depressione. Un’anamnesi psicopatologica positiva a questo disturbo potrebbe, infatti, far prolungare questa fase con gravi danni all’equilibrio della neomamma.
“La depressione in gravidanza è un fenomeno molto frequente- conferma Irene Cetin, direttore dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Luigi Sacco- che può manifestarsi anche in donne in cui i fattori di rischio sono limitati o che non hanno avuto particolari problematiche durante tutto il periodo della maternità. Questo avviene, poiché la gravidanza è un momento in cui si verificano nel corpo della donna, forti alterazioni ormonali che la rendono particolarmente recettiva e sensibile agli eventi esterni, causando variazioni nel tono dell’umore con stati di tristezza, malinconia e pianto fino, nei casi più importanti, alla depressione. Con il parto, la donna diventa improvvisamente consapevole degli enormi cambiamenti avvenuti sia nel suo corpo, sia nella relazione emotivo- affettiva nella quale l’attenzione prima focalizzata su di sé viene proiettata interamente sul bambino, sia nella quotidianità ritrovandosi a gestire, spesso sola e senza supporto familiare, tutte le responsabilità e incombenze di una nuova vita. Condizioni tutte che aumentano le difficoltà ad accettare il ruolo di mamma“.
Roberta Santoro
Riproduzione Riservata ®