Come pronosticammo già il giorno dopo l’elezione del nuovo profeta in America non sarebbe cambiato nulla anzi per certi versi la crisi sarebbe montata e gli americani si sarebbero presto svegliati dal sogno. Le elezioni di medio termine dimostrano proprio questo, anche se qualcuno è andato a scavare nella storia per ricordarci che Roosevelt nel ’38 perse 72 seggi alla Camera, e vinse la Seconda guerra mondiale. Ma «Obama non è Roosevelt» ricordava ieri l’editoriale del Wall Street Journal.
L’America ha capito che non basta il fascino e la seduzione per risolvere i problemi, nel mondo già c’è Berlusconi che fa questo anche se il paragone è poco sostenibile in quanto nonostante tutto quello che si dice il Cavaliere ha mostrato negli anni di essere un grande manager portando le sue aziende a grandi livelli, mentre il profeta nero come ben si sa non aveva mai amministrato niente nemmeno il condominio dove abitava. Pertanto affidargli le sorti dell’America in uno dei momenti più delicati della sua storia è stato veramente un grosso azzardo.
Ora per 10 giorni girerà il mondo per leccarsi un po’ di ferite e si spera per avviare la revisione della strategia per l’Afghanistan, al suo ritorno dovrà giocare una partita decisiva sulle questioni economiche interne, principalmente dovrà decidere se prorogare o meno gli sgravi fiscali di Bush che scadono a fine dicembre. Per Obama un’occasione per riallacciare il dialogo coi repubblicani moderati sulle cose da fare. Con un clima politico ancora surriscaldato, trattare sotto i riflettori del Congresso non sarà facile. Sarebbe il caso che una volta per tutte sia i democratici che i repubblicani parlassero chiaro agli americani, chiarendo una volta per tutte che per uscire dalla crisi finanziaria sono necessari tanto i tagli della spesa sociale respinti dai democratici, quanto gli aumenti dei tributi demonizzati dai repubblicani, questo potrebbe aprire uno spiraglio per Obama.
Ma il tassello più importante del rimpasto in arrivo è esterno alla Casa Bianca e riguarda il Pentagono dove il ministro Robert Gates – che Obama ha visto ieri sera nello Studio Ovale a tu per tu, poco prima della chiusura dei seggi – ha fatto sapere di voler lasciare l’incarico nel 2011. In questo modo, mettendo sul piatto delle trattative il nome di un successore gradito ai repubblicani, Obama potrebbe trovare anche sul terreno della sicurezza nazionale un importante tassello per consolidare l’agenda bipartisan.
Branca Vincenzo
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