Se n’è andata così, Miriam Mafai, firma intramontabile del giornalismo italiano, spegnendosi serenamente nella città che l’aveva vista testimone diretta dei grandi cambiamenti della storia. Se n’è andata dopo una vita tutta dedicata al giornalismo, quel giornalismo di mestiere fatto con onestà intellettuale e per passione. Se n’è andata consumata da una lunga malattia, circondata dall’affetto di figli e nipoti, per raggiungere finalmente il suo Nullo, Giancarlo Pajetta, compagno di una vita scomparso nel 1990. Oggi dicono di lei che fosse una donna volitiva e decisa, sempre pronta a lottare per dire la verità, di qualunque colore politico fosse, da qualunque parte si trovasse. Aveva 86 anni, Miriam Mafai, una risata contagiosa e due amori immensi: il giornalismo e la libertà.
Oggi alla camera ardente, allestita nella sala della Promoteca in Campidoglio, è stato un viavai continuo. A renderle l’ultimo omaggio tante personalità ma soprattutto gente comune, cittadini, lettori fedeli e vecchi amici, come sempre succede quando muore una persona importante, che ha lasciato un messaggio, un’emozione, un segno nella mente e nel cuore di chi l’ha conosciuta, anche solo attraverso la sua opera. Miriam questo segno l’ha lasciato eccome, non soltanto per l’onesta schiettezza di ciò che scriveva, ma soprattutto per la forza e la determinazione con cui ha contribuito a fare la storia di anni difficili per il nostro paese. A vent’anni fu fervente attivista della resistenza antifascista. Durante gli anni di piombo il suo impegno politico e giornalistico contribuì a smussare gli angoli di una sinistra tutta d’un pezzo e troppo rigida, traghettando l’immagine del Pci attraverso correnti più moderate, fino all’approdo sulla sponda riformista, quella della svolta degli anni Novanta voluta da Achille Occhetto per avvicinare le idee del partito alle esigenze dei cittadini. Come donna Miriam Mafai si impegnò anche nella lotta a favore delle pari opportunità, contribuendo a creare una coscienza di genere nelle donne della sua generazione, attraverso la ricostruzione delle condizioni storiche e sociali che furono causa dell’esclusione femminile dalla vita economica e politica dell’Italia a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.
Giorgio Napolitano, tra i primi a portarle l’ultimo saluto, l’ha ricordata ieri come “una delle più forti personalità femminili italiane degli scorsi decenni: erede di un’alta tradizione intellettuale e artistica famigliare, scrittrice in stretto legame con il movimento per l’emancipazione delle donne e con l’attività politica della sinistra”. Ma Miriam era soprattutto una “giornalista di grande talento e combattività”.
Figlia di due affermati artisti della Scuola Romana, padre scultore e cattolico, madre pittrice di origine ebraica, Miriam era nata a Firenze (1926) e ben presto, dovendo lasciare il ginnasio per l’entrata in vigore delle leggi razziali inizia la militanza nella Resistenza romana, prima distribuendo volantini, poi come staffetta partigiana. In questi anni incontra Giancarlo Pajetta, all’epoca trentacinquenne, che negli anni Sessanta, dopo il divorzio di lei, diventerà suo compagno, l’amore di una vita che però sarà sempre secondo alla passione per l’inchiesta. Inizia giovanissima l’attività giornalistica, alla fine degli anni Cinquanta è già corrispondente parigina per l’Unità, nel 1965 dirige Noi donne e negli anni Settanta è inviata per Paese Sera. A Repubblica, grande giornale democratico e popolare, approda nel 1976 con un discorsetto pratico e conciso che Scalfari ha rammentato ieri, sorridente e commosso nel ricordo della franchezza della sua ultradecennale collega: “Del giornale che vuoi fare so già qual è il tuo progetto, il resto lo conoscerò mentre lavoreremo”.
Aveva una mente svelta e orientata alle soluzioni, piuttosto che alle domande, Miriam Mafai, e una lingua affilata sulla lama della verità. Questo il motivo del suo successo come giornalista ma anche come scrittrice di saggi storici. La gente comprava i suoi libri e leggeva i suoi articoli perché erano scritti bene, con lealtà, senza coprire nessuno né parteggiare per qualcuno, ma semplicemente con l’obiettivo di spiegare al lettore un pezzo di storia e di mondo. La gente capiva, e ora ringrazia. Per questo oggi la camera ardente di Miriam Mafai era straripante di gente, assiepata sullo scalone della Promoteca, pur di dare l’ultimo saluto alla donna che è stata un simbolo del giornalismo italiano. Com’era, e come dovrebbe essere. Laico, indipendente, fatto con passione e al servizio del cittadino, a cui si deve sempre la verità.
Giuliana Gugliotti
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