Il primo caso fu Gesù Cristo, che morì in croce e risorse dopo tre giorni: l’unico caso autentico, per chi è credente.
Da allora il concetto di risurrezione ingrossò le già numerose leggende metropolitane: seppur sia importante precisare che, in questi casi, si parla di sopravvivenza dopo una morte apparente, voluta a tavolino.
Il primo caso, in ordine cronologico, fu la granduchessa Anastasia Nikolaevna Romanov, quartogenita dello Zar Nicola II: storicamente fucilata il 17 luglio del 1918, con l’intera famiglia, a seguito della Rivoluzione Russa.
La leggenda della sua sopravvivenza nacque dal fatto che il cadavere (o forse quello di sua sorella Maria) e quello di suo fratello, non furono trovati per lunghi anni: solo i risultati del Dna compiuti sui resti (nel 1994) e il rinvenimento di scheletri infantili (nell’agosto del 2007), con boccette di acido accanto, confermarono l’iniziale relazione bolscevica, secondo cui i due corpi furono cremati.
Fino al 1994, la leggenda continuò e numerosi individui si presentarono come “redivivi” famigliari dello Zar: difatti i mitomani se ne approfittarono, spacciandosi anche per altri famigliari, le cui morti furono accertate nel 1918.
Quattro casi riguardarono la granduchessa Anastasia, tre a testa per le granduchesse Maria e Olga, un caso per la granduchessa Tatiana e addirittura quattro uomini si spacciarono per il piccolo e sfortunato Alessio.
La più celebre fu Anna Andersson, ovvero Franziska Schanzkowsky, che, in conclamata malattia mentale, sostenne tutta la vita di essere Anastasia Romanov, addirittura raccontando particolari raccapriccianti dell’eccidio: come la violenza sessuale subita da singoli membri della famiglia Romanov (eccettuato il piccolo Alessio) ove il resto della famiglia fu costretto a osservare lo scempio.
I parenti della famiglia imperiale furono protagonisti di un grande dibattito (evidentemente c’era in pallio il tesoro dei Romanov, di cui si ambiva all’eredità): Anna Andersson fuggì negli Stati Uniti e nessuno conobbe mai la verità.
Una tal Eugenia Smith, americana, è autrice (di quella che lei definisce), un’autobiografia di Anastasia: la donna era una pittrice, i cui soggetti rappresentavano la “sua famiglia” che lei ricordava in scorci d’infanzia.
Nel caso di questa donna, gli storici negarono la veridicità, attraverso esami antropologi e grafologi.
Anastasia, come si è detto, non fu l’unica figlia Romanov che si disse sopravvissuta: l’italiana Marga Boodts sostenne di essere la granduchessa Olga e fu addirittura riconosciuta dal cugino, Sigismund di Prussia, e dal Kaiser, che le donò ottanta mila rubli russi.
In ordine cronologico, anche la morte di Adolf Hitler (30 aprile 1945) è stata spesso contestata: nonostante il cadavere fu trovato e riconosciuto.
I sovietici asserirono che il Fuhrer non fosse morto ma fosse protetto dagli stati occidentali.
Durante il processo di Norimberga (20 novembre 1945/1 ottobre 1946), il rappresentate americano Thomas J. Dodd mise in dubbio la morte del dittatore (“nessuno può dire che sia morto”).
Durante la conferenza di Postdam (17 luglio-2 agosto 1945), a una precisa domanda del presidente Truman, Stalin parve negare risolutamente la morte di Hitler.
Talvolta la sindrome della “non morte” aleggia anche sulle rock star.
Elvis Presley morì d’infarto, il 16 agosto 1977: nonostante fu osservato il cadavere e sottoposto ad autopsia, qualcuno crede che la grande rock star sia ancora in vita.
Pare, infatti, che il cantante non fosse morto ma avesse inscenato una farsa, perché stanco del mondo dello spettacolo che lo stava “uccidendo”, moralmente e fisicamente: diverse associazioni, tutt’oggi, sostengono questa leggenda, adducendo che sulla tomba, uno dei suoi nomi è scritto in maniera erronea (Aaron e non Aron).
Le possibili voci di “fuga” sono tante: si parla che Elvis fosse un alieno, si dice sia protetto dalla Cia o che viva tuttora a Cuba da almeno trent’anni.
La diceria cubana provenne dal giornalista Matt Frost, che avventuratosi nell’ospedale di “ Gregorio Maranon” per cogliere immagini del convalescente Fidel Castro, si trovò causalmente nella camera di un corpulento e invecchiato uomo, che riconobbe come Elvis Presley (“yes, it’s me Elvis”, pare disse il cantante): la star gli concesse un’intervista di due ore, in cui raccontò i motivi della sua scomparsa.
Alcuni racconti sfiorano il ridicolo, ad esempio un uomo nell’Yukon (Canada), sostiene di essere la reincarnazione del cantante (difatti si veste allo stesso modo ed ha inciso anche dischi): asserisce che alcuni alieni lo colpirono con un raggio, in grado di farlo reincarnare in Elvis.
Numerosi sono gli avvistamenti di Elvis, secondo alcuni critici dovuti ai numerosi sosia presenti in tutto il mondo.
Il caso più celebre di “morte oltre alla vita”, nel mondo della musica, è quello di Jim Morrison, morto il 3 luglio del 1971 a Parigi.
A confronto di Elvis Presley, questo caso è più “credibile” nella sua inverosimiglianza: non è chiara la causa della morte (i sintomi furono l’arresto cardiaco per un fatale miscuglio di droga e alcool, ma si parla anche di overdose di eroina) ma è curioso che non si volle fare un’autopsia sul cadavere e solo due persone lo videro morto (tra cui la fidanzata Pamela, che qualche anno dopo si tolse la vita).
Testimonianze sicure affermano che già nel 1967 (all’apice del successo dei Doors), Jim Morrison fantasticava sull’idea di “fingersi morto”, andando a vivere per sempre in Africa (Ray Manzarek, il tastierista dei Doors, sosteneva si trattassero delle Seychelles), sotto mentite spoglie: voleva dedicarsi solo alle poesie (imitando il suo idolo, Arthur Rimbaud).
Desiderava escogitare un modo per accrescere la fama del gruppo e addirittura aveva ideato uno stratagemma (il suo corpo sarebbe stato sottratto dalla tomba, come capitò a Gesù Cristo): avrebbe usato il soprannome Mr Mojo Risin (l’anagramma del suo nome e cognome) per mettere in contatto l’Africa col mondo esterno.
Affascinante le teorie riguardanti alle “seconde vite” o alle risurrezioni: l’importante è non crederci troppo.
Riproduzione Riservata ®