Scrittore o pittore? Tutt’e due. Questo è Martino Oberto (1925-2011), figura di spicco della poesia avanguardista della seconda metà del XX secolo e “padre” della cosiddetta “poesia visiva”, scomparso lo scorso 22 giugno all’età di 86 anni. Una vita dedita alla sperimentazione e alla ricerca artistica, dagli anni ’50, quando inizia a scrivere i suoi primi saggi filosofico-letterari e a pubblicare su fogli politici giovanili della Genova del Dopoguerra.
Roberto Sanesi scrive: “L’ opera di Martino Oberto è uno degli esempi più articolati della pratica del segno visibile della scrittura” che “concettualmente privilegia un atteggiamento di interrogazione sulle relazioni possibili fra la scrittura e la pittura, sempre cercando significati ulteriori” . È questa l’essenza profonda della “poesia visiva”, l’arte in cui Oberto fu maestro, quella capacità di trasformare le parole in immagini, di evocarne il significato suggestivo attraverso l’accostamento di colori, di scardinare la logica stessa del rapporto tra significante e significato, rivisitandola in maniera innovativa e armonizzante. Una sperimentazione artistica che coinvolge non soltanto la mente, ma, attraverso la vista, tutti gli altri sensi.
Una sperimentazione che per Oberto inizia grazie alla lettura e all’incontro con Wittgenstein, filosofo del linguaggio e della logica formale vissuto nella prima metà del Novecento, la cui opera può essere considerata una musa ispiratrice per l’arte di Martino Oberto: l’idea che il linguaggio sia una forma di espressione artistica piuttosto che convenzionale, paragonabile alle altre forme d’arte, e in grado di rispecchiare perfettamente la natura logico-formale della realtà, sottende in effetti tutto il percorso sperimentale di Oberto, che tuttavia resta un esempio assolutamente originale di sperimentazione, vestendosi poi di una serie di “contaminazioni”: dalla filosofia Zen alla musica di Cage, alla “gestualità” poetica di Mallarmé, al flusso di coscienza di Joyce.
Una sperimentazione che prosegue poi anche nel cinema, grazie alla collaborazione con Gabriele Stocchi, e più tardi si affaccia al mondo dell’editoria, grazie anche all’apporto della sorella Anna, e insieme allo stesso Stocchi, con cui fonda e dirige (1959-1971) la rivista Ana Etcetera, intorno alla quale inizia a fiorire l’idea della scrittura visuale, che troverà pieno sboccio negli anni ’70, quelli delle esposizioni newyorkesi. Oberto vivrà un decennio a New York prima di tornare nella sua Liguria, terra di natali e di ispirazioni, per tirare le somme della sua vita artisticamente movimentata e incontrarne serenamente la fine.
Giuliana Gugliotti
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