Si chiama AIDS, e non ha bisogno di presentazioni.
Una malattia – anzi, una sindrome – devastante, incurabile, che conduce inesorabilmente alla morte chi la contrae. L’AIDS, o sindrome da immunodeficienza acquisita, è la nuova, subdola peste del XX secolo, che decima l’umanità come una volta facevano il vaiolo o il colera. E in effetti i dati parlano chiaro: dal 1982 – anno in cui l’ancora sconosciuta sindrome miete la sua prima vittima, un bambino emofilico infettato da una trasfusione – a oggi, l’AIDS ha ucciso 25 milioni di persone in tutto il mondo, con una preferenza spiccata per omosessuali e tossicodipendenti. Il perché è presto detto: il virus HIV, responsabile della patogenesi dell’AIDS, si trasmette attraverso i fluidi corporei. Il sangue, lo sperma, il liquido vaginale. Rapporti sessuali non protetti e siringhe infette sono la principale causa di trasmissione dell’HIV. E l’HIV, una volta contratto, conduce inevitabilmente all’AIDS: un “deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario” che mette ko l’organismo, neutralizzando la sua capacità di contrastare qualunque, banale infezione, portando inesorabilmente alla morte.
L’AIDS, ad oggi, è una delle malattie più letali.
A niente sono valsi anni e anni di costose sperimentazioni e ricerche: l’AIDS resta il “continente nero” della medicina, una macchia scura sulla luminosa scia del progresso, il flagello che ancora non si è riusciti a debellare, e che continua a uccidere milioni di persone, soprattutto nelle zone più povere del mondo. Tutti ne conosciamo i rischi, tutti abbiamo paura di ammalarcene; le campagne di sensibilizzazione anti-contagio si sprecano, e anche un ragazzino ne conosce i rischi di contrazione e i comportamenti di prevenzione. Perché di AIDS non si guarisce; e una volta contratto il virus HIV, si può solo ritardare l’insorgere della malattia attraverso cocktail di costosi medicinali, l’unico rimedio/palliativo che la scienza è riuscita finora a produrre.
Eppure, c’è qualcosa che nella storia dell’AIDS non quadra. Troppi punti restano oscuri perché si possa fare finta di ignorarli, e troppe sono le voci “dissidenti” che forniscono una versione alternativa sull’insorgenza della sindrome. Tanto da arrivare ad affermare che l’AIDS è una malattia “inventata”, costruita ad hoc in laboratorio, provocata dalla somministrazione dei farmaci preventivi, altamente devastanti per l’organismo, che avrebbero l’effetto contrario a quello proclamato: abbassare ulteriormente le difese immunitarie, conclamare la patologia, accompagnare per mano alla morte.
Le chiamano “tesi cospirazioniste”: i sostenitori ritengono l’AIDS un’arma virale senza precedenti, una sindrome costruita nei più prestigiosi laboratori di ricerca, di cui il tanto temuto virus HIV non sarebbe responsabile, almeno non in maniera univoca.
La versione storica ufficiale sull’AIDS ci narra che il virus HIV si sia trasmesso all’uomo dalla scimmia, una particolare specie di scimpanzé che ha in Africa sub-sahariana il suo habitat naturale, da dove sarebbe “migrato” attraverso traffici illegali di sangue che dall’Africa, passando per i Caraibi, raggiungevano gli USA. E infatti i primi casi furono registrati, già nel 1979, proprio negli States. Ma è solo nel 1981, presso il Center for Desase Control di Atlanta, Georgia, che si inizia a parlare di una nuova, sconosciuta, letale malattia: i giornali ne danno notizia come “disfunzione immunitaria acquisita”, o “immunodeficienza gay-correalata”, dato che le prime vittime del contagio erano omosessuali. Poi fu silenzio stampa, fino al 1984, quando il virus venne finalmente “isolato” – rispettivamente dallo statunitense Robert Gallo e dal francese Luc Montagneir, una battaglia che valse la contesa del Nobel – e l’AIDS vide la luce, nominato per la prima volta e presentato al mondo durante una conferenza stampa presieduta dall’allora ministro della Salute USA, Margaret Heckler. Il mondo dà così il benvenuto al nuovo sterminatore, al giustiziere divino che colpisce i peccatori, in questo caso, lussuriosi e (tossico)dipendenti. Gli anni ’70, quelli di sesso, droga e rock’n roll, ma anche quelli del pacifismo e della non violenza, sembrano a un tratto lontanissimi; il sogno hippie si infrange contro un muro di paura e diffidenza che provoca un ritorno culturale a più morigerate abitudini.
La storia ufficiosa ci fornisce in merito tutt’altra spiegazione: tralasciando la fantasiosa ipotesi secondo cui l’AIDS sarebbe stato creato dalle autorità mondiali per scoraggiare l’eccessiva libertà di costumi della cultura Occidentale ed eliminare omosessuali e drogati, ci sono in effetti alcuni punti delle teorie cospirazioniste che restano degni di interesse. Il fatto che, ad esempio, solo pochi anni prima della comparsa del virus HIV, nel 1970, il Dipartimento della Difesa degli USA faceva richiesta di ingenti fonti economiche per la sperimentazione e la creazione di una nuova arma biologica in grado di attaccare il sistema immunitario umano. L’HIV. Un virus che sarebbe stato sintetizzato, secondo le dichiarazioni di Jacob Segal, scienziato di origine russa e professore di biologia all’università di Humboldt, Germania, in un laboratorio di Fort Detrick, nel Mariland, e testato su carcerati volontari, con la promessa della libertà anticipata. Una libertà che, una volta ottenuta, in seguito alla dichiarazione di fallimento degli esperimenti, avrebbe messo in condizione i detenuti “cavie” di diffondere il contagio.
Altra voce dissidente, che sostiene una tesi alternativa sulla genesi dell’AIDS, è quella di Peter Duesberg, premio Nobel per la Chimica e pioniere della ricerca sui retrovirus, tra cui si annovera appunto l’HIV. Che non sarebbe, secondo lo scienziato, la causa diretta dell’eziologia dell’AIDS, non rispettando i postulati di Koch e ben sei leggi della virologia. L’HIV sarebbe, in sostanza, un virus atipico, non sempre presente anche nel caso di AIDS conclamato, e, secondo alcuni, insufficiente da solo a provocare l’emergere della malattia, che si originerebbe a partire da altri fattori di carattere comportamentale e ambientale. Come l’assunzione di sostanze stupefacenti, che da sole sono in grado di debilitare il sistema immunitario, o la compresenza di altre patologie che causano immunodeficienza. La scienza – o almeno, una parte della comunità scientifica, quella che non si rassegna a seguire passivamente la tesi predominante sull’eziologia dell’AIDS – sembra ancora in alto mare; fatto sta che il tentativo di Duesberg di comunicare al mondo i propri dubbi circa la diretta discendenza dell’AIDS dal contagio con HIV è miseramente fallito: il suo libro intitolato Why We Will Never Win the on AIDS fu ritirato dal mercato per decisione della Corte Federale di New York nel 1995. Una decisione che non rispetta certo i principi di democrazia e libertà di espressione di cui gli States tanto si millantano fautori.
Una cosa è certa: l’eventuale scoperta che il contagio con HIV non significa una via diretta verso l’AIDS manderebbe in fallimento non poche case farmaceutiche. Per non parlare dell’incremento esponenziale cui andrebbe incontro il tasso demografico mondiale, dato che oggi l’AIDS, che nel solo 2005 ha ucciso oltre 3 milioni di persone, è la principale causa di mortalità in svariati paesi dell’Africa sub-sahariana.
Cospirazioni o no, posta sotto questa luce la storia dell’AIDS sembra nascondere davvero qualcosa di losco.
Giuliana Gugliotti
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