Assolto, per due volte. Dopo il processo di primo grado, anche i giudici popolari della Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno prosciolto Alberto Stasi dall’accusa di omicidio aggravato dalla crudeltà nei confronti della sua fidanzata Chiara Poggi, a Garlasco il 13 agosto 2007. Tanti indizi – alcuni contraddittori –, molti dubbi e nessuna prova regina. Questo deve aver convinto il collegio presieduto da Anna Conforti dell’ innocenza del giovane, spingendolo a formulare un’assoluzione piena per mancanza di prove. Viene così respinta la richiesta di condanna a 30 anni fatta dal pm Laura Barbaini che nella sua memoria di replica depositata ai giudici oltre ad individuare “le deviazioni sessuali di Stasi e la natura dei rapporti intimi tra Alberto e Chiara”, quale elemento scatenante della presunta furia omicida, aveva rimescolato le carte in tavola anticipando l’ora del delitto, tra le 9.12 e le 9.35 (cioè prima che Alberto iniziasse il suo lavoro al computer, appurato in una perizia super partes nel dibattimento di primo grado) e mettendo in rilievo l’esistenza di un sms che Stasi avrebbe mandato ad un amico 30 ore prima del delitto – e poi cancellato sua sul telefono del mittente che del destinatario – il cui contenuto parlerebbe di un’imprecisata “emergenza”, che avrebbe dimostrato l’avvenuto litigio tra i due fidanzatini, scatenato forse proprio dalla mania di Alberto per il porno. Inoltre, a differenza del pm di Vigevano Rosa Muscio, il pg Barbaini ha poi indicato con precisione quella che sarebbe stata l’arma del delitto, un martello mai ritrovato.
Come appare piuttosto evidente tutte le interpretazioni dell’accusa, rappresentano semplicemente un modo diverso di leggere degli indizi. Fin dall’inizio investigatori e magistrati hanno puntato il dito contro di lui, unico e solo indiziato. Ma prove certe che sia stato realmente Alberto ad uccidere Chiara non ci sono, o almeno non sono mai state trovate. Ci troviamo di fronte all’ennesimo delitto italiano senza un colpevole. L’ennesimo omicidio in cui dopo anni di indagini e processi si finisce per ricominciare da zero, cercando nuove piste e nuovi colpevoli. In America si chiamano cold case, ma per noi hanno il nome di Meredith, Chiara, Simonetta, Yara, Melania. Tutte donne vittime di una violenza efferata ad opera di un assassino ancora impunito. Donne che gridano giustizia, come Rita Poggi, la mamma di Chiara, che ai cronisti che le chiedono come si sente dopo la sentenza di assoluzione risponde “Non mi arrendo. Ho ancora fiducia nella giustizia”.
Enrica Raia
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