Vedere e leggere di dati negativi riguardanti il nostro paese è ormai cosa nota a tutti: che si parli di politica, sanità, sport, economia o istruzione indistintamente, ogni giorno si ha modo di leggere e apprendere di quanto difficile sia la situazione. Oggi i dati allarmanti provengono da uno studio condotto dal CUN (consiglio universitario nazionale) e riguardano le università, ossia le fucine del futuro, i centri di formazione per eccellenza dei giovani di domani. I risultati di questa indagine fanno impallidire: nell’ultimo decennio si è passati da 338.432 (anno accademico 2003/2004) a 280.144 ( a.a. 2011/2012), un meno 17%, un meno 58.000 studenti che fa riflettere e getta nello sconforto coloro i quali sognano ancora un futuro di prosperità per la nostra nazione. Volendo rendere ancora meglio l’idea, questo calo di iscritti, condensandolo in una sola università determinerebbe dall’oggi al domani la chiusura di un intero ateneo come ad esempio la Statale di Milano, che di colpo quindi si ritroverebbe senza iscritti. Una flessione preoccupante, da non sottovalutare, anche perché stavolta non fa differenze tra nord e sud dello stivale; il calo è generalizzato e riguarda tutta Italia, isole comprese.
La situazione è destinata anche a peggiorare se si considera che gli investimenti al momento, sono praticamente azzerati anzi, i tagli non conoscono sosta e lo Stato sull’università e sulla ricerca ha fatto davvero tutto quello che si poteva fare per ridurre le risorse al minimo. Dapprima si è trattato di un’opera di razionalizzazione assolutamente doverosa, ma pian piano la scure dei tagli ha perso lucidità e raziocinio andando a mettere in discussione perfino le risorse minime per far si che il sistema università possa andare aventi. Volendo provare a tracciare un quadro della situazione generale, il segno meno delle stime riguarda proprio ogni voce; si parte dal corpo docente, con una media di un docente per ogni 18,7 studenti che è ben più alta della media europea attestata su un rapporto di 1 a 15,5. Si passa al numero dei laureati che rispetto a quello della media Ocse è ben più basso: 34esimo posto su 36 paesi con un numero di studenti che completano il ciclo di studi che si attesta intorno al 19% contro un lontanissimo 30% della media europea. Si va poi alla voce che riguarda la pianificazione del futuro, agli investimenti: anche qui la politica de tagli non si smentisce e si passa dai circa 50 milioni di euro all’anno del 2008 ai 13 attuali, con il conseguente rischio di obsolescenza delle attrezzature e dei laboratori che ovviamente giovare non può ai risultati ed ai progressi della ricerca stessa. Una quadro allarmante su cui non è il caso di continuare o insistere, questa è una situazione che tutti conoscono e tutti fanno finta di ignorare.
Ma cos’è che spinge i giovani e le loro famiglie a rinunciare ad un percorso di studi universitari? Domanda complessa con un’infinita possibilità di risposte e di chiavi di lettura. Tuttavia sarà importante focalizzarsi sulle cose concrete, sui dati oggettivi e sui limiti reali che questa scelta di vita può comportare.
La verità nuda e cruda purtroppo è solo una: le famiglie preferiscono indirizzare ed orientare i propri figli verso discorsi più professionalizzanti a fronte di un sempre più alto numero di giovani che vien fuori dall’università con una preparazione notevole, ma senza un reale sbocco lavorativo. Le università continuano a coltivare il sapere, a diffonderlo, a svilupparlo e a garantirlo, ma il mondo di questo sapere non vuole saperne più niente, non se ne fa più niente e le storie di tutti i giorni parlano di laureati operai e parcheggiati nei call center fino a vana occupazione migliore, condizioni lavorative su cui è meglio sorvolare, condizioni contrattuali cu cui si potrebbe ridere per giorni interi e remunerazioni su cui il silenzio è la cosa più dignitosa che si possa fare per descriverli.
Quali sono dunque le garanzie che oggi un percorso universitario può garantire? Quali sono le porte che apre, le prospettive che illumina e gli orizzonti che mostra? La realtà è il vuoto assoluto. Il deserto. Un deserto che genera imbarazzo, perché è il nulla, la voragine a cui un giovane laureato va affacciandosi una volta completati gli studi è imbarazzante, è frustrante, è deprimente e deplorevole. A cosa serve studiare se alla fine ci si ritrova a dover fare tutt’altro? A cosa serve studiare e spendere ed investire soldi e risorse quando poi nel domani, essere laureati per alcuni professioni può risultare persino un ostacolo? “ No, lei non va bene per questo impiego, è troppo specializzato”. Già…si rischia di essere addirittura troppo specializzati in questo paese, tanto vale non fare, tanto vale accantonare i libri e cercarsi un lavoro fin da giovani, evitando così le trafile, le ingenti spese che comunque l’università richiede e le gravi frustrazioni a cui la vita futura potrebbe sottoporre. Qual è la soluzione? Forse una soluzione non c’è, nel senso che non ce n’è solo una. Questa è una fase storica difficile che sicuramente si sta affrontando nel modo sbagliato, con poca cognizione, poca perizia e poca serietà. Le prospettive affinché le cose possano cambiare non sono né buone né cattive, semplicemente non ci sono. Forse il tempo, speriamo che almeno lui pian piano possa dare forma alle cose ed un senso a tutto il resto, se non nella Speranza, in chi o cosa si può riporre davvero fiducia?
Francesco Lamanna
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