C’era una volta una favola, la favola del Myspace. Che permetteva di registrarsi come musicista o band e di uploadare in tutta tranquillità i propri lavori da casa. Alex Turner e soci fiutarono subito l’affare, e da quella favola del 2005 gli Arctic Monkeys hanno spiccato il volo.
Una delle band più giovani, anagraficamente parlando, dell’attuale panorama musicale. Ma non per questo stupida, anzi. Già al loro quarto album di studio, valanghe di live alle spalle, Turner che si consacra santone dell’indierock e sforna progetti a destra e a manca (The Last Shadow Puppets e Submarine, l’EP già recensito qualche settimana fa), a questi ragazzi non manca la stoffa. Così come non ne manca a questo Suck It And See, un disco che sveste un pò gli arctic delle tshirt e jeans per indossare abiti più maturi. Scordatevi la velocità supersonica di Whatever People Say I Am That’s What I’m Not. Più vicino al recente Humbug, Suck It And See viene registrato a Los Angeles assieme al produttore James Ford, nella piena rilassatezza di vite cui l’icona cosa da fare è creare.
L’album si apre con She’s Thunderstorms, che lascia il sapore degli Stereophonics, dalla struttura anni ‘50 che oggi stiamo ascoltando tanto in molti pezzi anglossassoni. Si prosegue con Black Treacle, e l’impressione è che Suck It And See non ha alcuna intenzione di prestare il fianco a campionature, suoni elettronici et similia (alleluja!!!). Brick By Brick è uno dei pezzi forti del lavoro, diretto e dal riff di sicuro impatto, con richiami di Ramones e dell’ Hard Rock anni ‘70 “cafone”. The Helicat Spangled Shalalala poteva finire benissimo in un disco dei Last Shadow Puppets, e infatti poco si integra col resto dei pezzi, mentre il singolo apripista Don’t Sit Down ‘Cause I’ve Moved Your Chair (distribuito in occasione del record Store Day il 16 aprile su vinile in 30.000 copie per i più fortunati) ricorda i Back Rebel Motorcycle Club più ispirati ed in generale dà a tutto il lavoro quell’impronta “sorniona” alla quale forse i fan di primo pelo storceranno il naso ma tant’è.
Library Pictures indora la pillola e ci rimanda ai vecchi tempi, con un’intro al fulmicotone fra batterie e riff riverberati. La sensazione che si stia assistendo a delle prove in sala ce la conferisce la misteriosa All My Own Stunts, dagli accordi taglienti e orientaleggianti.
Reckless Serenade apre con un giro di basso stile Pixies e scorre via piacevolmente, così come Piledriver Waltz, che avevvamo già trovato nell’EP Submarine di Alex Turner, ora in versione completa col resto del gruppo. Un’altra prova di maturità negli arrangiamenti, si direbbe.
Love is a Laserquest non regge col resto del materiale, mentre la title track Suck It And See trasuda del miglior pop britannico attualmente a disposizione, strizzando l’occhio agli amici Glasvegas e ai novelli Vaccines, che gli Arctic ritroveranno a Bologna per l’I-Day.
That’s Where You’re Wrong non chiude però degnamente l’album, dando la sensazione di averla già sentita da qualche parte. Insomma, un album dove è vietato cercare le vorticose strofe a velocità pazzesca biascicate al microfono da Turner e soci, dove è vietato rimpiangere i ritmi a bpm elevati degli esordi, dove è vietato ricordarsi dei riff accattivanti ma tecnicamente risibili dei primi lavori. Un album invece da apprezzare per la grande prova di maturità compositiva e di produzione dei pezzi, dove la calma regna e quindi anche un auto-convincimento dei quattro ragazzi, che si scoprono sempre più musicisti in grado di spaziare oltre una pentatonica sparata a mille.
Marco Della Gatta
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