La rivincita di Ben Affleck passa dall’Oscar dato ad “Argo” come miglior film. Una rivincita verso l’Academy, soprattutto, che lo aveva incredibilmente escluso dalla cinquina dei registi, ma anche una rivincita verso chi, nel suo passato da attore, ci è andato pesante con le critiche. La sua vittoria è l’ennesima dimostrazione che anche “se la vita ti butta giù, l’importante è rialzarsi”, giusto per citare una delle frasi più ispiranti del suo commovente discorso di ringraziamento. “Non credo che questo faccia di me un vero regista ma penso di essere sulla strada per diventarlo”, aveva detto, solo pochi giorni fa, lo stesso Ben ritirando il premio attribuito dal sindacato dei registi. Invece su quella strada ci è già da un pezzo. Quindici anni fa, su quello stesso palco, insieme all’amico di sempre Matt Damon, Ben era salito a ritirare un altro Oscar, quello per la sceneggiatura di “Good Will Hunting”. Non credeva di poterci ritornare un giorno, almeno non come regista e produttore. In effetti, la sua carriera ha preso una svolta imprevedibile, e non perché è strano che un attore passi dietro la macchina da presa, è il farlo con successo, subito, dall’esordio, che può sorprendere. Così dopo gli ottimi “Gone Baby Gone” e “The Town”, ecco finalmente il film della maturità e della consacrazione, arrivata a discapito nientemeno che del grande Steven Spielberg, uscito a testa bassa dalla notte degli Oscar, se non fosse per la statuetta data al protagonista del suo “Lincoln”, Daniel Day-Lewis.
Ma il trionfo di Argo non è stato tutto rose e fiori. Da Teheran infatti si sono subito sollevate le proteste contro la decisione dell’Academy, influenzata – a detta della stampa iraniana vicina al governo – da “motivazioni politiche”. La prova che l’Oscar sia stato tutto un statement politico di propaganda al “servizio d’intelligence americano (CIA)” , è quella di aver scelto la First Lady Michelle Obama (la cui scollatura è stata addirittura censurata in tv) per annunciare dalla Casa Bianca il vincitore, proprio quando a vincere è “un film anti-iraniano Argo, prodotto dai sionisti della Warner Bros”. Già nel 2007, il film 300 aveva provocato lo sdegno degli iraniani per il ritratto che Zack Snyder aveva fatto dei persiani come popolo cruento e sanguinario. Di “Argo” invece, il Ministro della Cultura, Mohammad Hosseini, afferma che è parte della guerra culturale all’insegna della “distorsione storica” che gli USA stanno conducendo contro Tehran. Insomma, il film esagererebbe la violenza dei fatti accorsi durante la rivoluzione khomeinista, eventi che hanno storicamente determinato la tensione fra USA e Iran.
Basato su un fatto realmente avvenuto, “Argo” narra dell’ingegnoso e rocambolesco espediente messo in atto dell’agente della Cia Tony Mendez per riportare a casa un gruppo di americani. Durante la rivoluzione iraniana del 1979, un gruppo di militari fa irruzione nell’ambasciata americana a Teheran traendo in ostaggio 52 impiegati del corpo diplomatico, eccetto 6 funzionari che riescono miracolosamente a fuggire rifugiandosi nella residenza privata dell’ambasciatore canadese. Da quel momento, toccherà alla CIA trovare il modo di rimpatriare i fuggiaschi prima che i rivoluzionari li trovino e li uccidino. E qui entra in gioco Mendez (Ben Affleck) che, con la complicità del makeup artisti di Hollywood John Chambers (John Goodman) e del produttore Lester Siegel (Alan Arkin), mette in piedi una finta produzione cinematografica. Il piano, infatti, è riportare a casa gli ostaggi facendoli passare per parte di una troupe canadese, impegnata nella scoperta di location per un film di fantascienza, Argo appunto. Una trama, incredibilmente vera, che celebra la potenza illusoria – e in questo caso salvifica – dell’industria Hollywood, portata sullo schermo da Ben Affleck in maniera impeccabile e senza nessun secondo fine politico, per quanto ne dicano gli iraniani. Argo è un thriller avvincente in cui si fondono dramma, storia e commedia in un crescendo di tensione, che sfocia in un finale al cardiopalma praticamente perfetto. Perché è veramente difficile mantenere l’attenzione di chi guarda quando già sai come si conclude la storia, ma Ben – supportato anche dalla solida sceneggiatura dell’esordiente Chris Terrio – ci riesce molto bene, senza cadute di ritmo, per tutta la durata del film, facendoti arrivare all’incredibile sequenza finale con il giusto livello di suspense.
Enrica Raia
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