“Ha vinto lo stato”. Questa la dichiarazione di Zagaria al momento del suo arresto. Ricercato dal 1995 per associazione di stampo mafioso, omicidio, estorsione, rapina e altri reati, il superlatitante sembra aver dichiarato apertamente la propria sconfitta mentre scattavano le manette ai suoi polsi. Ironia o realtà?
Certamente la malcelata ironia di Zagaria risiede nella convinzione che il clan è e sarà ancora forte nonostante la sua assenza – Cantone, che per anni ha collaborato alle indagini, ha dichiarato: “Dopo la sconfitta il clan dei Casalesi cambierà pelle, ma non sarà meno pericoloso” – tuttavia, è innegabile che la vittoria dello Stato, con la cattura di Zagaria, non può che considerarsi realtà: l’attacco alle fondamenta del clan dei Casalesi è indiscutibile successo delle squadre mobili della polizia di Napoli e Caserta e dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che, da molti – troppi – anni, cercavano di stanarlo, ma è anche e soprattutto una speranza per la Campania onesta, quella che non ne può più della camorra e dei suoi loschi affari e gioisce in piazza per l’arresto del boss, senza preoccuparsi di eventuali minacce e ritorsioni.
Detto Capastorta, cresciuto con fama da killer e simbolo della camorra di stampo imprenditoriale che ha esteso il proprio domino al Nord Italia, Michele Zagaria è stato ritrovato in un bunker nel suo paese, Casapesenna: come tutti i camorristi “che si rispettino” non ha abbandonato il proprio territorio, controllando, sorvegliando, gestendo gli affari del clan grazie ad un innovativo – ed illegale – sistema di videosorveglianza, con telecamere sparse in ogni angolo del paese casertano, ed un massiccio uso di tecnologia anche all’interno della villa che ospitava il nascondiglio – villa di proprietà della famiglia Inquieto, la stessa proprietaria del negozio dove qualche tempo fa il superlatitante sfuggì alla cattura della DDA: una insospettabile stanza girevole permetteva, infatti, l’accesso al bunker sotterraneo.
La battaglia contro i clan si avvale, per fortuna, di strumentazione tecnologica pari a quella posseduta dalla camorra stessa, che ha permesso a circa 300 uomini delle forze dell’ordine di rintracciare il superlatitante e scovarlo, poi, con un metodo più che mai semplice e tradizionale: l’assenza di energia elettrica.
Sherlock Holmes direbbe “Elementare, Watson”, perché la stessa tecnologia che consentiva la sicurezza personale di Capastorta, era anche ciò che lo teneva in vita. È bastato staccare la corrente elettrica per stanare il superlatitante: al buio, disorientato, senza l’ossigeno proveniente dall’impianto di areazione e, forse, persino spaventato dall’incessante rumore dei martelli pneumatici che scavavano nel pavimento della villa, sovrastando le sue richieste di aiuto, Zagaria è venuto fuori dal bunker per sua stessa volontà.
“Fermatevi, non scavate più. Sono qui”. Con queste parole si è consegnato alle forze dell’ordine, costretto a tornare in superficie per poter respirare: come un topo intrappolato, il “capo dei capi” dei Casalesi, si è arreso per non morire. Il bunker che, per anni, lo ha nascosto, stava per diventarne la tomba dopo essere già stato, probabilmente, la tomba della sua libertà.
Il Pm Antonello Ardituro, che alla cattura di Zagaria si è dedicato anima e corpo negli ultimi sei anni, lo descrive come “il boss della riservatezza, uno che incontrava pochissime persone, in giro si faceva vedere poco. Ma quando arrivava un suo ordine non si discuteva, si eseguiva e basta”. Un capo indiscusso e indiscutibile che, anche in manette, non ha celato il proprio orgoglio, riuscendo ancora a fare dell’ironia sulla propria “sconfitta”, mentre già si aprivano nuove indagini per scovarne l’erede – forse una figlia la cui esistenza potrebbe anche essere una mera leggenda metropolitana – nel timore che possa scatenarsi presto una sanguinosa lotta per la successione.
L’ironia del boss diviene, comunque, poco convincente dinanzi alla soddisfazione dell’Italia intera e alla realtà di una nuova maxi operazione che, nei giorni successivi, ha fatto scattare le manette per altri 57 affiliati del clan, sparsi in tutta Italia per gestire gli affari di famiglia in territorio nazionale. Imprese, auto e moto, conti correnti bancari, locali ed appezzamenti di terra: ammonta ad oltre 100 milioni di euro il valore dei beni confiscati e sottratti al clan in Campania, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia.
Lo Stato non avrà ancora vinto la guerra forse, ma da questa battaglia la camorra esce, senza dubbio, pesantemente sconfitta.
Sara Di Somma
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