Norvegia, 22 luglio 2011. Un’altra data che entrerà nella storia, nella tragica storia di una società troppo presa da esistenzialismi contorti. Una società basata sulla violenza e sull’impulsività dettata da dogmi imposti da gruppi di persone che cercano unicamente di scuotere la quiete apparente di una potenziale rivoluzione.
Scenari di morte sono stati Oslo e l’isola di Utoya. Nella tranquillità di sempre, un boato. Una bomba viene fatta esplodere alle 15:26 distruggendo l’ufficio del primo ministro norvegese Jens Stoltenberg e la sede del giornale “VG”. Le prime immagini vengono postate su internet da fotografi occasionali della strage e il mondo viene invitato ad assistere immobile all’ennesimo scenario straziante. Cinque ore dopo un nuovo annuncio. La follia ha rivelato il suo volto sotto mentite spoglie. Sull’isola di Utoya, terra a forma di cuore circondata dal mare, un uomo travestito da poliziotto inizia a sparare su un gruppo di giovani laburisti riuniti per un meeting sulla spiaggia. Le televisioni vengono invase da scene di un film troppo reale e a cui, purtroppo, la società è abituata. Sembra di rivedere la follia delle fucilazioni di Hitler. I giovani cadono uno dietro l’altro, qualcuno cerca di scappare. Altri riescono a nascondersi e a sottrarsi alla furia omicida, ma i loro occhi non potranno dimenticare.
Si è consumato tutto in poche ore. Eppure sette sono state le vittime ad Oslo e novantuno sull’isola di Utoya. Numerosi anche i feriti. Dopo la strage, le polemiche. A quanto risulta la polizia ha impiegato un’ora per fermare il reo confesso Anders Behring Breivik e soccorrere le vittime. Nessuno ha mai sospettato di lui eppure erano due anni che il trentaduenne norvegese pubblicava pagine e pagine del suo manifesto. Incentrato maggiormente sul suo odio nei confronti del multiculturalismo e degli immigrati. “Ho fatto tutto da solo”. Queste le sue parole, mentre si cercano cellule che abbiano appoggiato il suo gesto. Perché, a poche ore dall’attentato, i sostenitori del Jihad globale lo hanno rivendicato a chiare lettere “Per l’Europa è solo l’inizio. Distruzione e morte perseguiranno, perché non abbiamo completato il nostro lavoro”. Per Anders Behring Breivik si è ipotizzata, inizialmente, un’accusa per terrorismo. Quest’ultima, però, prevede solo ventuno anni di detenzione – secondo la legislazione norvegese. Oggi le autorità giudiziarie vorrebbero accusare il trentaduenne di crimini contro l’umanità, alzando a trenta anni di reclusione la pena. Fatto sta che ha chiesto un processo pubblico e di apparire con la divisa. Ieri si è presentato in tribunale tra l’ira della folla che voleva linciarlo. Il giudice incaricato, Kim Heger, ha disposto otto settimane di custodia cautelare.
Le parole della follia e della rivendicazione si vanno, però, a scontrare con “Questo 22 luglio lo ricorderemo come il nostro venerdì di passione” pronunciate nel Duomo di Oslo. Una chiesa rispettosa del dolore, avvolta in un assordante silenzio e in cui erano presenti il re Harald e la regina Sonja, insieme alla principessa Marta Louise. Presenti anche le pià alte cariche del governo. Compostezza e lacrime non sono mancate nel corso della messa solenne celebrata dal vescovo luterano Ole Christian Kvarme. La città si è stretta tutta. Davanti al Radhuset, il municipio di Oslo, decine di migliaia di persone hanno partecipato alla “Fiaccolata delle Rose”. La partecipazione è stata altissima e multirazziale. Il principe ereditario Hakon e il premier Jens Stoltenberg hanno attraversato il centro della città accompagnati dalla folla.
Roberta Santoro
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