Il trono di regina del Soul ha di nuovo un posto vacante. Amy Winehouse, vera ed acclamata erede di gente come Ella Fitzgerald e Aretha Franklin, fluttua via da tutto a 27 anni, in un impasto letale di droga ed alcool nella sua casa di Camden, Londra.
Uno dei pochi talenti naturali sbocciati nell’ultimo decennio appassisce sotto i nostri occhi.
Si potrà discutere a lungo della sua breve e poco misurata vita, ma sulle doti canore ed artistiche nulla da eccepire. Alla ribalta nel 2006/2007 con il capolavoro Back to Black (il suo secondo disco), aveva scalato in breve le classifiche mondiali con quel suo mix di soul/rap/hip-hop inconfondibile, una voce talmente originale e caratteristica da essere diventata in pochi anni un fiore all’occhiello e uno stile da imitare, e non è poca roba.
Non pochi gli artisti che hanno pagato tributo alla musica e allo stile di vita che si trascina dietro (ma è proprio così?), come Brian Jones, indimenticato chitarrista dei Rolling Stones, o il celebre trittico delle tre “J”, Janis Joplin – Jimi Hendrix – Jim Morrison, tutti deceduti a 27 anni come la cantante londinese, tutti per problemi di droga. Così come non si possono dimenticare Keith Moon, storico batterista degli Who e John Bonham, batterista dei Led Zeppelin, o Kurt Cobain, leader dei Nirvana. La causa rimane sempre la stessa.
Ma il problema dov’è? O quantomeno, dov’è la chiave che accomuna queste morti alla droga?
Non scopriamo certo oggi che il vero problema è la fragilità che si nasconde dietro abusi di ogni genere, dietro ad accanimenti fisici e psicologici auto-distruttivi e violenti. La musica di per sé non porta necessariamente abusi ed estremismi (guardate come se la passa Bob Dylan o B.B. King), ma è chiaro che una scorza dura regge meglio una vita stressante come quella di un artista.
Allora la coincidenza, o il punto in comune, sta proprio nella profonda fragilità che contraddistingueva la vita di questi giovani artisti. Amy Winehouse meno di un mese prima della sua morte aveva messo in scena uno spettacolo imbarazzante durante il suo tour europeo del ritorno alle scene, a Belgrado, suscitando l’irritazione del pubblico che tanto aveva atteso. E tanto attendevano i fans, che aspettavano un disco da ormai sei anni.
Ora non resta che sperare nel buon gusto delle case discografiche e dell’intero sistema-musica, sperare di non vedere presunti Best Of e Greatest Hits arraffa-soldi vari, una speranza vana visto che Amy Winehouse risultava essere una discreta gallina dalle uova d’oro in vita, figuriamoci ora, in lizza per un altro posto fra le celebrità osannate ancor di più quando passano a miglior vita. Sta di fatto che Back to Black è letteralmente schizzato in cima alle vendita sia in Europa che in America, com’è giusto che sia, un disco da avere e da apprezzare anche per i non amanti del Soul.
Marco Della Gatta
Riproduzione Riservata ®