Giovanissimi, ventenni o poco più, considerati i volti nuovi della camorra, diretti da due figli di Francesco Schiavone detto “Sandokan”, Emanuele Libero e Ivanhoe Schiavone. Il gruppo imponeva ai commercianti di Casal di Principe e dei comuni limitrofi, la sottoscrizione di contratti di acquisto di materiale pubblicitario (calendari, penne portachiavi e altro), in concomitanza con le festività natalizie del 2011.
Il cosiddetto “racket della pubblicità” è finito nel mirino della Procura distrettuale antimafia di Napoli e in mattinata i carabinieri hanno eseguito 15 ordinanze di custodia cautelare in carcere. Le accuse sono di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Tre delle quindici ordinanze sono state notificate in carcere a Emanuele Libero Schiavone, figlio di “Sandokan”, Gaetano Diana e Antonio Salzillo. Altri due provvedimenti riguardano il nipote – omonimo – e l’altro figlio del boss, cioè Francesco Schiavone e Ivanhoe Schiavone. Gli altri esponenti del gruppo finiti in manette sono Gennaro Cosimo, Antonio Zippo, Mario Affinito, Bernardo Diana, Mario della Corte, Gianluca Cirillo, Giuseppe Vassallo, Ortenzio Pezzella, Massimo Dell’Aversano e Saverio Cirillo.
Sempre questa mattina la Guardia di finanza di Napoli ha confiscato a Casal di Principe, una villa e beni di Nicola Schiavone, figlio di “Sandokan”, per un valore di 1,5 milioni di euro. L’abitazione è classificata come popolare (A/4), ma in realtà risulta di tipo signorile (A/1) considerando il lusso delle rifiniture. La residenza si estende su più livelli per una superficie di più di 290 metri quadrati, ed è composta da tre camere da letto, cinque bagni, un ambiente unico destinato a pranzo e cucina, un salone e uno studio, tutto arredato con mobili di valore e di marchi conosciuti. Nella villa anche moderni e costosi impianti elettrici, compresi videocitofono e videosorveglianza, riscaldamento e climatizzazione in tutti gli ambienti; due accessi carrabili, muniti di enormi cancelli metallici e un affaccio su un cortile interno dove sono stati realizzati due manufatti abusivi.
Emanuele Libero Schiavone, già detenuto, al centro dell’inchiesta con l’accusa di avere imposto a numerosi commercianti del Casertano l’acquisto di gadget, provvedeva direttamente a consegnare i cataloghi perché sapeva che il suo nome incuteva maggiore timore.
Emerge da alcune intercettazioni ambientali presenti nel’ordinanza di custodia cautelare. Parlando in macchina con alcuni degli altri indagati, il figlio di Francesco Schiavone prima fa un elenco dei negozi dove è necessario passare per sollecitare le ordinazioni; poi spiega: “Noi a fine mese già ci andiamo a parlare, gli iniziamo a mettere ‘a zella addosso ai cristiani (cominciamo a incutergli timore), hai capito! Così la settimana dopo, passi, ci posi il catalogo e parlo io con loro”.
A conferma del fatto che i commercianti temevano maggiormente i figli di “Sandokan”, c’è il colloquio tra Gennaro Cosimo e Antonio Salzillo. Cosimo spiega come il titolare di una rivendita di prodotti per l’edilizia si rifiutò di fare un’ordinazione a lui, mentre accettò di farla direttamente a Emanuele Schiavone: “Eh Antò, dissi, la devi fare a me.. Eh, disse, io se la faccio, la faccio ad Emanuele… non la faccio più a nessuno”.
I commercianti costretti ad acquistare gadget dai figli del boss erano molto spaventati dall’idea di essere interrogati. Ciò si evince dalle loro conversazioni intercettate nella caserma dei carabinieri all’interno della quale erano stati convocati.
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