Ci sono storie che fanno bene allo sport. Sono quelle storie che arrivano in momenti particolari quando i valori che sono alla base di ogni competizione sportiva sembrano vacillare, se non essere spariti del tutto.
È il caso del ciclismo ed è la storia di Cadel Evans. Stiamo ovviamente parlando della vittoria dell’australiano al Tour de France appena concluso. Una vittoria arrivata a sorpresa, visto che i favoriti erano altri, ma che ha messo d’accordo tutti. Più volte vicino alla vittoria negli scorsi anni, quest’anno il fuoriclasse della BMC ha finalmente trionfato nella corsa a tappe più importante del mondo.
Ma perchè la vittoria di Evans dovrebbe far bene al ciclismo? Innanzitutto perchè stiamo parlando di un corridore australiano, ed è la prima volta che un ciclista che arriva da laggiù riesce nell’ impresa di vincere la corsa a tappe francese, e in secondo luogo perchè Evans non è più un corridore giovanissimo: a 34 anni questa è per lui il coronamento di una carriera.
Ma, forse, più che per chi ha vinto, la vittoria di Evans è stata accolta di buon grando da tutti anche pensando a chi poteva e “doveva”, secondo i pronostici, vincere. Uno su tutti è sicuramente Alberto Contador. Il grande ciclista spagnolo, reduce dal netto trionfo al Giro d’Italia, al Tour de France partiva da campione uscente e con i favori del pronostico. Ma lo spagnolo più che un valore aggiunto sembra essere un peso per il Tour, vista la vicenda di doping che lo ha riguardato e che ancora procura strascichi. Proprio su Contador e sulla sua vittoria dell’anno scorso, infatti, pesa la decisione del TAS (Tribunale arbitrale dello sport) che si esprimerà nei prossimi mesi. Solo il prossimo novembre verrà esaminato il caso riguardante lo spagnolo e in seguito sapremo se è davvero lui il vincitore del tour 2010.
Tralasciando il favorito numero uno, anche il nostro Ivan Basso, indicato alla vigilia tra i papabili alla vittoria finale, ha alle spalle le note e tristi vicende doping. Per Evans non è così (o non ancora) e questo per gli organizzatori del Tour e per tutto il movimento è già un’ottima notizia. Ma Evans ha anche il merito di essere un leader discreto, giunto al successo più importante della sua carriera a 34 anni, dopo aver lavorato tanto. Un campione “rassicurante” e dalla faccia pulita. L’uomo giusto, insomma, per un ciclismo che tra tornanti, discese, volate e tante, tante cadute, sembrava aver smarrito la retta via.
Forse è troppo presto per pensare che il ciclismo sia fuori pericolo. Anche nel Tour appena conclusosi c’è stato un caso di doping riguardante il russo Kolobnev, ma se si tiene conto di quelle belle storie di cui si parlava prima, allora la corsa andata in scena fino a qualche giorno fa ne ha regalato più di una. Della vittoria di Evans già abbiamo detto, del gruppo che percorre il centro di Parigi nell’ultima tappa inutile dire (spettacolo nello spettacolo), ma bisogna senz’altro segnalare l’epica impresa dei fratelli Schleck. Sul monte Galibier, la cima più alta del percorso di quest’anno, Andy Schleck ha conquistato la vittoria di tappa, scattando da lontano come si faceva una volta, e il fratello Franck è andato a chiudere al secondo posto.
Un Tour strano, quello di quest’anno, scandito da poche emozioni, per quanto riguarda la classifica generale, e da momenti davvero indimenticabili, come l’impresa degli Schleck. Un Tour in cui Evans ha avuto il merito di saper dosare le forze e controllare gli attacchi, soprattutto sulle alpi, dei vari Sanchez, Contador, Andy e Frank Schleck. Il campione australiano ha controllato, non si è fatto lasciare indietro, e nella cronometro finale ha sferrato il colpo conquistando la maglia gialla che conta davvero. Una vittoria “discreta” proprio come lui, il campione che la Francia ha già adottato, l’uomo giusto per il ciclismo di questi tempi.
Umberto Rennella
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