Nell’eterna sfida fra Fausto Coppi e Gino Bartali ha giocato sempre la parte del “terzo uomo”. Fiorenzo Magni se ne andato oggi nell’ultima volata della sua vita a quasi 92 anni (li avrebbe compiuti il prossimo 7 dicembre). Il leggendario “Leone delle Fiandre”, per via delle tre vittorie consecutive in Belgio, dal 1949 al 1951, fu uno dei tre grandi protagonisti dell’epoca d’oro del ciclismo italiano, quella di Coppi e Bartali. Toscanaccio come Gino – era nato a Vaiano (Prato) nel 1920 – Magni rappresenta uno “spaccato” dell’Italia del dopoguerra, delle sue infinite sfide con i suoi grandi rivali. Il suo curriculum racconta delle sue tre storiche vittorie consecutive nelle Fiandre che lo consegnano alla Storia, dei successi nei Giri d’Italia nel 1948, 1951 e 1955 con la famosa fuga con Coppi nella tappa del 1955 da Trento a San Pellegrino, dell’abbandono della maglia gialla al Tour de France 1950 per il ritiro dalla corsa insieme a tutta la squadra italiana in seguito alle pressioni e alle insistenze di Bartali, che era stato aggredito sul Col d’Aspin da alcuni spettatori francesi. L’ultima uscita pubblica di Magni risale a pochi giorni fa, il 12 ottobre, nel Salone d’onore del Coni per la presentazione di un Libro a lui dedicato “Magni il terzo uomo”, scritto dal giornalista Rai Auro Bulbarelli. “Ho 92 anni tra qualche giorno – le sue parole – e me li sento, ma la mente è come 50 anni fa e questo mi dà molto stimolo per fare un altro libro”, disse Magni circondato da vecchi amici, come l’ex ct della Nazionale Alfredo Martini, lo storico meccanico Ernesto Colnago, e tanti altri campioni dello sport di ieri e di oggi. “Fiorenzo Magni ebbe dalla sua la ventura di non somigliare né a Coppi né a Bartali – ha scritto nella prefazione Sergio Zavoli – e quindi di essere pari a loro per prestigio e popolarità, ma con una personalità anche agonistica, che per qualche verso addirittura sopravanzava i suoi due primari rivali”.
UN CAMPIONE IMMENSO – Insomma, un campione a tutto tondo, un asso della bicicletta, un eroe del ciclismo che ha consegnato alla Storia qualcosa di più delle se vittorie: una delle foto più belle di quel ciclismo epico, diventata immaginario collettivo, lo ritrae mentre stringe un tubolare tra i denti: l’altra estremità era legata al manubrio per continuare a correre nonostante una spalla rotta per una caduta. Era l’epoca in cui l’Italia si divideva fra tifosi di Bartali e tifosi di Coppi: “Bartali non aveva mai fame, sete o freddo – ha raccontato il Leone delle Fiandre parlando dei suoi storici rivali – e, quando era in crisi, cosa che capitava assai di rado, pedalando inclinava leggermente la gamba destra. La rovina di Coppi invece era l’acqua, perché quando soffriva il caldo continuava a bere, se la buttava addosso fino ad essere completamente inzuppato”. Da giovane lavorò nella piccola impresa di trasporti del padre a Vaiano, facendo le consegne in bicicletta. Un po’ alla volta la bici divenne una passione e nel 1936 iniziò a gareggiare con l’Associazione Ciclistica Pratese. Passò dilettante nel 1938 con l’Associazione Ciclistica Montecatini Terme dove gareggiava anche Alfredo Martini, mettendosi subito in luce. La svolta arrivò nel Dopoguerra: nono al suo primo Giro d’Italia (1947), l’anno dopo vinse il Giro d’Italia, che poi replicò nel 1951 e 1955. Tra le altre affermazioni anche tre Giri del Piemonte, tre Trofei Baracchi e tre Campionati assoluti. Secondo ai Campionati del mondo del 1951 (preceduto dallo svizzero Ferdi Kübler) e al Giro d’Italia del 1956 (dietro il lussemburghese Charly Gaul) alla veneranda età di 36 anni. Coronamento di una carriera gloriosa, ancorchè da terzo uomo.
Fonte: corrieredellosport.it
Riproduzione Riservata ®