In questi giorni davanti agli schermi televisivi si è svolta l’ennesima scena tragi-comica della politica nostrana; il rito dello scambio del campanello (di solito compiuto con larghi sorrisi di circostanza) ha visto un Enrico Letta incapace di fingere: nessuno sguardo, una “finta” stretta di mano e la repentina uscita di scena.
L’ex premier è l’ennesima vittima del “fuoco amico”, nella storia dei partiti italiani, alla fine, accade a tutti: di solito la sconfitta è definitiva, talvolta accompagnata da una morte prematura (tale è il dolore bruciante).
Obbiettivamente ci vuole gran forza di carattere o faccia tosta per riuscire a ritornare in sella.
La vera vittima di un complotto perenne fu invece Amintore Fanfani: osteggiato dagli stessi membri moderati della sua corrente (i futuri “dorotei”), il leader politico uscì sempre vincente, con gran rabbia di chi non lo tollerava.
Solitamente si afferma che la “vittima” politica è stata a sua volta “carnefice”: questo è il caso del politico aretino.
Fiutando l’aria di protesta, scaturita dal fallimento della “legge truffa”, Fanfani guidò la definitiva sconfitta d’Alcide De Gasperi nel 1953: l’ultimo governo dello statista trentino fu battuto dalle camere fin dal voto di fiducia (a causa dei “franchi tiratori” interni) e De Gasperi morì dal dispiacere l’anno successivo (Andreotti non ha mai amato Fanfani per questo motivo).
Sempre Fanfani fu il “presunto” autore dello scandalo di Wilma Montesi: la morte della ragazza romana vide sotto processo Piero Piccioni, figlio d’Attilio Piccioni (successore di De Gasperi e rivale dello statista toscano).
Dalla nascita del primo governo di Fanfani, il politico divenne “vittima” e non più “carnefice”: una parte della sua corrente non n’amava l’attivismo e il decisionismo.
Il suo primo governo vide la luce il 18 gennaio del 1954: si disegnava come “centro-sinistra” (seppur allora i socialisti non volevano governare con i democristiani, ma erano sostituiti dai socialdemocratici) e gli “avversari di corrente” lo affondarono già al voto di fiducia e il ministero si dimise il 10 febbraio del 1954.
Nel 1958, vincendo con larga maggioranza il congresso, Fanfani divenne segretario di partito e (come oggi ha fatto Renzi), quasi contemporaneamente, fu nominato a Palazzo Chigi: il governo partì con grandi propositi, ma ben presto si fecero sentire gli avversari interni, impallinando numerose riforme attraverso i “franchi tiratori” e fiaccando Fanfani fino alle sue dimissioni ( anche da segretario di partito) il 15 febbraio del 1959.
Al successivo congresso gli avversari si scissero definitivamente dall’ex presidente del consiglio e s’auto-battezzarono “Dorotei”.
Nel 1960, spaventato dagli strascichi del governo Tambroni (ove l’Msi dimostrò la sua forza e vi furono scontri con la polizia), Fanfani tornò alla ribalta e astutamente si riciclò come “uomo d’ordine”, proponendosi a capo di un governo di tregua (ove quasi tutti i partiti si sarebbero astenuti, creando la celebre formula delle “convergenze parallele”).
Auspicando un successivo governo con l’appoggio esterno del Psi, lo scaltro politico toscano volle prima allearsi con i suoi “avversari” e quindi vincere largamente il congresso di partito.
Il governo che nacque nel 1962 fu rivoluzionario: furono promosse numerose riforme importanti e si attese con trepidazione le elezioni del 1963 (valutando il consenso degli elettori).
Un minimo calò della Dc scatenò le mosse degli infidi avversari interni che, scongiurando un allontanamento dell’elettore moderato, provocarono la crisi del governo.
La “lotta intestina” con gli avversari non avvenne solo a livello governativo ma addirittura durante le elezioni al Quirinale.
Amintore Fanfani ebbe il sogno proibito di diventare presidente della repubblica: ci provò tante volte, ma fu sempre sconfitto dai suoi stessi compagni di partito.
Le grandi “scalate” tentate da Amintore Fanfani furono nel 1964 e nel 1971.
Nel 1964 intervenne addirittura un cardinale (che lo venne a trovare, a sorpresa, a casa sua): supplicandolo di ritirare la candidatura, evitando altre divisioni nella Dc (il leader toscano si ritirò dopo venti scrutini andati a vuoto e Saragat fu eletto dopo il ventunesimo).
Nel 1971 era sicuro di essere eletto, ma di nuovo subì un’imboscata dal “fuoco amico”: per nove scrutini tentò la scalata e Leone fu eletto al ventitreesimo; l’odio era talmente forte che lo stesso Fanfani fu costretto a leggere su un’anonima scheda: “Nano maledetto, non sarai mai eletto”.
Nonostante questo, lo statista ritornò, in chiave istituzionale negli anni ’80, a dirigere due governi e fu di nuovo presidente del senato.
Amintore Fanfani dimostrò una tenacia rara e fu vincitore: oggi è difficile trovare un politico con questa forza d’animo, sforzarsi di trovarla è l’unico modo per restare in sella.
Antonio Gargiulo
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