Genoa – Siena, partita disputata nel corso della scorsa giornata del campionato di serie A con il calcio, ma si potrebbe dire con lo sport in generale, ha ben poco a che fare.
Senza volere essere tragici, ma senza neanche nasconderci dietro il proverbiale “non è morto nessuno“, non si può fare a meno di prendere atto della situazione. Uno stato di cose di cui però dovrebbero prendere atto, più che giornalisti e addetti ai lavori, le istituzioni sportive, le società, lo Stato. Quello che i fatti di Genova hanno evidenziato è che il calcio italiano è controllato dagli ultras, ovvero da una parte della tifoseria (se così può essere chiamata) che può fare il bello e il cattivo tempo, decidendo se fermare o far continuare un incontro, decidendo se i calciatori sono degni o meno di indossare la maglia. Scene indegne dello sport successe a meno di una settimana dalla morte di Piermario Morosini, calciatore del Livorno stroncato da un malore nel corso di una partita. Una morte che ha visto il calcio fermarsi per rispetto ma anche per riflettere e che forse meritava una ripresa di campionato più degna.
Al di là di chi siano le colpe, e di se le forze dell’ordine si siano comportate nel migliore dei modi o meno, resta il fatto che episodi del genere si ripetono periodicamente e ogni volta vengono affrontati in maniera diversa sia per quanto riguarda la giustizia sportiva (squalifica del campo, porte chiuse ecc.), sia per quanto riguarda l’intervento degli agenti a volte pronti a reprimere altre a controllare, come nel caso di domenica scorsa.
Di fatto, una linea di azione chiara in questi casi non c’è. Si dirà che è meglio valutare la situazione di volta in volta, ma è anche vero che una certezza di pena in questi casi non c’è e invece dovrebbe esserci. I tifosi, o pseudo tali, che si sono resi protagonisti dei gesti indegni di Genova sono stati individuati e per qualcuno è già scattato il divieto di partecipazione ad eventi sportivi, ma basta? Questi ultras sono, infatti, volti noti, già destinatari di interventi del genere. Se questo non basta, dunque, bisogna trovare altre strade, magari far chiarezza sulle leggi, capire chi deve far rispettare l’ordine pubblico negli stadi, società o Stato, e punire davvero chi compie atti del genere. E sul piano sportivo prevedere anche intere stagioni su campo neutro se non altri tipi di intervento. Si studi per esempio il calcio inglese e non si dia solo la colpa a strutture obsolete o mentalità, motivazioni che, anche se valide, spesso vengono usate come alibi.
Si dirà : ci sono anche i tifosi quelli veri, che tifano, soffrono e soprattutto accettano i risultati con sportività. Certo, loro vanno tutelati ma non facendo giocare per forza, piuttosto evitando il ripetersi di situazioni del genere. Se chi dovrebbe farlo non lo riesce a fare allora è giusto che lasci il campo ad altri, se invece il problema è irrisolvibile allora tanto vale fermare il campionato e riflettere, non per una, due o tre giornate ma tutto il tempo necessario. Perché comunque il calcio, quando succedono cose come queste si ferma già, quello che resta è solo contorno.
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