In questo periodo, in Italia, sono in atto tre situazioni paradossali, tipiche del nostro paese.
La prima vuole che un governo, costituito da un esponente del Partito Democratico (Enrico Letta), sia criticato e sfiduciato da un esponente dello stesso partito ( Matteo Renzi).
La seconda è la critica feroce ad un presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, fino a qualche mese prima osannato e addirittura rieletto per un secondo settennato.
La terza è la nascita del futuro governo di Matteo Renzi, terzo ministero non votato democraticamente dagli italiani.
Lo scandalo sarebbe inevitabile se questi episodi avvenissero per la prima volta in Italia: al contrario la storia della repubblica italiana vede un continuo ripetersi delle stesse situazioni, al punto che un normale cittadino potrebbe anche essersi abituato o almeno non stupirsi come se si trattasse di una prima volta.
La formula del governo “amico” era quasi estinta in Italia: non si ripeteva dal 1987.
Durante la “prima repubblica” (essendo la maggior parte dei governi gestiti dalla Democrazia Cristiana) ovviamente la logica correntizia provocava situazioni paradossali, ma il caso estremo del “governo amico” era certamente raro (solo tre volte accadde).
Si trattava di monocolori (ossia governi di soli ministri democristiani) creati con uno scopo di transizione: appena i “tranquilli” ministeri subivano improvvisi “sussulti”, automaticamente erano disconosciuti dalla stessa Dc.
Il primo caso avvenne nell’estate del 1953: il governo di Giuseppe Pella succedette alla lunga striscia di De Gasperi.
Il quadripartito che aveva supportato De Gasperi dopo sette governi, era arrivato al capolinea: nell’ attesa di riflessione, fu proposto l’incarico a questo gentiluomo piemontese che creò un governo d’ ordinaria amministrazione.
La minaccia dell’occupazione di Trieste da parte Jugoslava, portò ad un impeto di patriottismo da parte di Giuseppe Pella, che schierò l’esercito sul confine triestino: alcuni esponenti della Dc videro con fastidio questa decisione “imbarazzante” (dal punto di vista diplomatico) e presero le distanze dal governo, provocandone la caduta.
Il ministero di Pella fu il primo “governo amico”, in quanto tale di vita breve.
L’esempio più eclatante fu quello di Ferdinando Tambroni, nel marzo del 1960: durante una complessa crisi di governo, il presidente Giovanni Gronchi decise di “giocare la carta” Tambroni, un esponente della sua corrente nel partito.
Tambroni creò un monocolore, auspicando una larga maggioranza: suo malgrado notò che l’estrema destra appoggiava (dandogli la stretta maggioranza necessaria) il suo governo e quindi ne trasse le dimissioni; Gronchi lo rinviò alle camere ed il governo dovette accettare l’appoggio del Msi.
Pur promettendo un governo di transizione (d’affari come si diceva o di scopo come si chiama oggi), Tambroni promosse leggi populiste (abbassò il costo della benzina e dello zucchero) che suscitarono stupore nella stessa Dc.
La mossa più azzardata fu il congresso del Msi promosso a Genova (una delle città simbolo della resistenza ): l’evento, che per altro doveva dare una svolta al partito di destra(eliminando le incrostazioni del passato), creò una sommossa in città (probabilmente anche descritta in toni esagerati).
Successive manifestazioni a Roma e in Emilia, costrinsero a muoversi anche l’esercito e vi furono diversi feriti: ancora una volta, una parte della Dc fu scossa dagli eventi e decise di “licenziare” Tambroni, che morì poco dopo di crepacuore.
Il terzo ed ultimo caso di “governo amico” (prima dell’attuale caso di Letta) avvenne con l’ultimo governo d’Amintore Fanfani nel 1987.
L’epopea di Bettino Craxi era ormai alla fine e serviva un governo tranquillo e di vita breve(in grado di approvare i referendum): Amintore Fanfani era la figura giusta, ormai relegato in un ruolo istituzionale.
La Democrazia Cristiana da subito prese le distanze dal ministero: difatti il capo gruppo alla camera, con evidente imbarazzo, dichiarò la clamorosa astensione del partito verso il governo.
Il paradosso era giunto al punto più alto.
L’italiano è volubile di natura, pronto ad appoggiare un politico salvo poi attaccarlo nel giro di poco tempo: il caso è curioso, quando l’atteggiamento proviene dalla classe politica, in teoria responsabile.
Giorgio Napolitano fu rieletto (per la prima volta nella storia del paese) e salutato come padre della patria, salvo poi richiedere l’impeachment dopo neppure un anno.
Alcuni presidenti della repubblica, in passato, subirono la stessa sorte.
Il primo fu Giovanni Leone, eletto nel 1971 dopo lunghe ed estenuanti sedute parlamentari;
Leone era il presidente ideale: uomo tranquillo, pacifico e al di fuori d’ogni corrente.
La situazione filò liscia sino al 1975, quando improvvisamente un’inchiesta della giornalista Camilla Cederna (appoggiata da Marco Pannella) sollevò uno scandalo nei confronti del capo di stato: affiorò un’eccessiva vita liberale dei figli e della moglie del presidente, alcune amicizie pericolose nel mondo della finanza e il coinvolgimento nello scandalo “Lockeed” (tangenti versate ad un’industria aerea americana).
Giovanni Leone, fino a poco tempo prima osannato, dovette dimettersi sotto l’assordante silenzio della Dc: molti anni dopo l’ex capo di stato fu riabilitato e Pannella gli portò le proprie tardive scuse.
Lo stesso destino cadde su Francesco Cossiga, eletto alla prima votazione nel 1985
Il defunto capo di stato, sino al 1990, fu contraddistinto da un silenzio quasi notarile: fu apprezzato da tutti proprio per la sua “assenza” e probabilmente fu votato proprio per questo motivo.
Dal 1990, probabilmente a causa della caduta del muro di Berlino, Cossiga cominciò ad esternare le sue idee in maniera sempre più decisa: tale fu l’impeto che spesso sfiorò anche l’offesa (fu ribattezzato il “picconatore”).
Considerandolo ormai come un “presidente amico” (parafrasando l’uso dispregiativo dei “governi amici”) la stessa Dc e quasi tutto il parlamento (eccetto l’Msi) attaccò il capo dello stato, che fu costretto a dimettersi.
Un caso un po’ diverso fu quello d’Oscar Luigi Scalfaro: il defunto presidente (seguendo il caso di Giovanni Leone) fu eletto dopo lunghe sedute parlamentari.
L’idea della sua elezione scaturì dallo scioccante omicidio di Giovanni Falcone a Capaci: il parlamento vergognosamente indeciso, scelse un uomo tranquillo e sopra le parti.
Scalfaro non subì scandali e neppure mutò atteggiamento politico, ma dovette assistere alla rivoluzione del panorama politico (rivelandosi un garante durante il processo di “tangentopoli”, salvo protestare, quando fu “lambito” da un successivo scandalo) e all’avvento della “seconda repubblica”.
Una malcelata antipatia verso Silvio Berlusconi, lo portò ad invadere il proprio ruolo, attraverso mosse opinabili.
L’uomo inizialmente garante, diventò fazioso e questo segnò gran parte del suo settennato.
L’ultimo paradosso italiano, in ordine di tempo, è rappresentato dalla prevista nomina di Matteo Renzi a presidente del consiglio: il terzo non eletto democraticamente.
In realtà l’episodio ha numerosi precedenti nella storia politica italiana ma, nonostante questo, si sperava che la logica avesse un termine.
Alcune legislature passate sono iniziate con un indirizzo politico e sono terminate con un altro: evitando di accusare i presidenti del momento e anzi rassegnandosi alla logica politica nostrana.
Durante la “Prima Repubblica”(quando il premier non era dichiarato all’inizio della campagna elettorale) alcune legislature nacquero sotto auspici di centro-sinistra, salvo poi mutarsi in ministeri appoggiati dalla destra (1958) oppure si parlò di ministeri di centro destra che ben presto si evolsero nel centro-sinistra (1972,1994).
La politica italiana è fondata su numerosi paradossi che sembrano non normalizzarsi mai.
Antonio Gargiulo
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