Assurdo. Assurdo che, nel 2012, la statistica preveda ancora una morte ogni due minuti per parto. Per una donna è il momento del dolore fisico, ma anche della gioia più grande. Nove mesi di attesa, di cambiamenti, di maturità. Nove mesi in cui si fantastica sul colore degli occhi e sulla forma della bocca. Con i progressi della scienza risulta inammissibile il dato allarme, di cui all’inizio.
A discutere della gravidanza, dei suoi rischi e delle percentuali drammatiche di decessi è la Women and Children’s Health dell’Organizzazione mondiale della sanità. Fino al 12 ottobre, a Roma, è possibile accedere al Congresso della International Federation of Gynecology and Obstetrics. È la prima volta che si svolge in Italia e riunisce otto mila partecipanti ogni 15 anni in Europa. Infermieri, medici, Onu e volontari attendono questo appuntamento per potersi confrontare. È questo particolare che rende grande la scienza: la possibilità di condividere opinioni e ricercare soluzioni inerenti la salute. Come sottolinea anche Gamal Serour, presidente Figo, «sarà un’ottima occasione di interscambio scientifico e permetterà, inoltre, il confronto e il miglioramento del dialogo tra tutte le organizzazioni internazionali pubbliche e private impegnate nel favorire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo indicati nel 1990 dalle Nazioni Unite».
Si parla di obiettivi. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha posto la riduzione della mortalità infantile e migliorare la salute materna come quarto e quinto Mdg (Millennium Development Goal). Il primo è decisamente ambizioso: da 93 su 1000 a 31 su un migliaio di bambini al di sotto dei cinque anni, in un arco di tempo che va dal 1990 al 2015. Si è molto lontani ancora dal traguardo, ma si è a buon punto: in alcune regioni i bambini deceduti sono passati da 97 a 63 su 1000, quasi il 35 percento in meno. Per quanto concerne la salute della mamma, l’obiettivo prefissato è una riduzione dei tre quarti fino al 2015. Dal 1990 il tasso di mortalità puerperale si è dimezzata. Nel 2010 sono state 287.000 donne. Sono tante, sono troppe ed è un dato vergognoso per quanto vi sia già stata una riduzione di 47 punti percentuali. Maggiormente colpite Africa sub-sahariana e il sud dell’Asia in cui viene a mancare l’assistenza al parto perché sono regioni manchevoli di personale professionalmente preparato. Anche questo dato è stato migliorato in dieci anni grazie alle sinergie innestate dai volontari, dalle associazioni e dall’Onu. «Negli ultimi tre anni – conferma Serour – la nostra collaborazione con le organizzazioni delle Nazioni Unite (Unicef, Unfpa, Unaids), l’Organizzazione mondiale della sanità, le associazioni di volontariato e il settore privato, è cresciuta enormemente da questo punto di vista. E’ nostra responsabilità di medici assicurare la massima qualità nelle cure durante la vita, ed è nostra responsabilità di leader mondiali accrescere questa collaborazione e il nostro sforzo per far sì che le donne non siano più vittime silenti e voci inascoltate di sistemi di cura non efficienti ed efficaci».
In Italia siamo fortunati. Queste le parole trapelate dal Congresso secondo cui «la popolazione (del nostro paese) è privilegiata e riceve assistenza di alta qualità, e grazie alle quale c’è un tasso di mortalità materno-infantile fra i più bassi del mondo». Peccato, però, consultare i quotidiani e leggere di madri decedute per negligenza degli operatori sanitari o, peggio, di madri che hanno visto morire il proprio figlio perché lasciate sole in sala parto e il bambino – espulso improvvisamente – è caduto battendo la testa (accaduto all’ospedale San Giovanni di Roma).
Roberta Santoro
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