La situazione delle carceri italiane è da tempo allo stremo: sovraffollamento e mancanza di personale impediscono che la detenzione raggiunga gli scopi previsti dalla legge italiana, che contempla non soltanto la punizione per il reato commesso, ma anche una prospettiva di cambiamento per il detenuto, nell’ottica della rieducazione individuale. Scopo del carcere, infatti, è offrire al detenuto opportunità di reinserimento nella società: tuttavia, nelle condizioni odierne, considerare il cambiamento obiettivo primario della pena detentiva rischia di portare alla luce più fallimenti che successi.
Data l’attualità del tema e l’elevato numero di cittadini napoletani coinvolti dal problema – che colpisce l’intera famiglia del reo, pertanto riguarda indistintamente uomini, donne e bambini – nell’ambito delle attività previste per “Marzo Donna 2011: 8 Marzo e oltre”, organizzate dalla Municipalità 8, la Consulta per le Pari Opportunità di concerto con il relativo Assessorato ha organizzato, presso il Centro “Alberto Hurtado” di Scampia, la proiezione del film “Il loro Natale” di Gaetano Di Vaio, che racconta in modo viscerale la vita delle donne dei detenuti nel carcere di Poggioreale.
Il regista, presente in sala, che ha commentato il film con la platea al termine della proiezione, si interessa da sempre di temi sociali: egli stesso ha, infatti, visto aprirsi le porte del carcere e, dopo la detenzione, ha scelto di cambiare il corso della propria vita, fondando un’associazione di volontariato, “Figli del Bronx”, allo scopo di sostenere i giovani di quartieri a rischio, supportandone la crescita attraverso l’utilizzo di molteplici forme d’arte. Le sue precedenti esperienze cinematografiche, “Sotto la stessa Luna” e “Napoli, Napoli, Napoli”, raccontano la vita all’interno dei campi Rom e la realtà del carcere femminile; il secondo film, in particolare, nasce dall’incontro con il regista statunitense Abel Ferrara e vede Di Vaio sceneggiatore di se stesso, raccontando il film, in uno degli episodi, proprio la sua storia ai tempi della detenzione.
Con “Il loro Natale”, Di Vaio si sofferma ancora una volta sul carcere, descrivendo la vita di chi ne subisce il peso pur non essendovi rinchiuso: sono le donne dei detenuti – soprattutto mogli, ma anche madri – le protagoniste assolute del film; loro, che a Scampia detengono nella maggior parte dei casi le sorti delle famiglie, ed i sacrifici che affrontano ogni giorno, da sole, per sbarcare il lunario, per non abbandonare alla dura vita del carcere i loro compagni, cercando – almeno loro – di non varcare il labile confine che sta tra la legalità e la disperazione. Sono donne disposte a svolgere lavori d’ogni genere per guadagnare qualche euro in più da accreditare al detenuto affinché acquisti in carcere generi di prima necessità; donne che riescono ad andare avanti grazie anche alla solidarietà e al sostegno dei vicini; donne ancora innamorate che scelgono di lottare nell’attesa di poter, un giorno, “consumare il proprio amore” e che, nonostante gli errori dei propri compagni, sono disposte a proteggerli dalla realtà esterna, negando i problemi e i sacrifici, fingendo che vada tutto bene, per non addossargli ulteriori sofferenze.
Molti sono i momenti di commozione e di rabbia durante la proiezione; il film lascia il segno nello spettatore, soprattutto c’è lo stupore di chi non conosce la realtà del carcere, di quelli che, per la prima volta, assistono al dolore e alla sofferenza di chi, all’esterno di quelle invalicabili mura, compie la propria lotta per la sopravvivenza.
Di Vaio dà voce a donne altrimenti invisibili, quelle le cui voci si perdono, solitamente, nella chilometrica fila che sono costrette ad affrontare per entrare al carcere di Poggioreale: spesso si mettono in coda già dalla sera prima – non c’è gelo o pioggia che tenga – per poter entrare in orario e visitare il proprio compagno per soli 50 minuti. Tutti cercano di arrivare presto per accaparrarsi i primi posti, quasi come al cinema, ma lo spettacolo che osservano – e vivono – è davvero brutale: lo stress serpeggia tra la folla e la tensione è sempre alta, bisogna combattere per mantenere il proprio posto, senza allontanarsi mai; si sta in fila per ore senza poter andare neppure al bagno. Poi, occorre presentare alle guardie carcerarie il pacco con indumenti e cibo (che non deve superare i 5 kg, altrimenti si è costretti ad eliminare il superfluo) e spesso, dopo la lunga attesa, si rischia di non riuscire ad incontrare il detenuto – la cui eventuale assenza non viene anticipatamente comunicata.
“Questo film non vuole essere soltanto una denuncia delle condizioni estreme vissute dai detenuti e dalle loro famiglie; è soprattutto un segno di speranza – ha affermato il regista. Innanzitutto perché dimostra che, usciti dal carcere, si può cambiare la propria vita. Io mi sono riappropriato della mia; ho trovato un mio spazio, mi sono impegnato per avere degli strumenti che mi permettono oggi di essere ciò che sono. In secondo luogo, credo che la speranza risieda nelle donne che il film mostra: le conosco tutte, una per una, e sono certo che i loro sacrifici sono reali, che nonostante le condizioni estreme in cui vivono, non si lasciano sedurre dalla vita facile”.
Il film si intitola “Il loro Natale” perché è in questo periodo che è ambientato: il Natale, da sempre simbolo di speranza e rinascita, visto con gli occhi di chi ogni giorno affronta la disperazione. “Ci si aspetterebbe un Natale povero da queste famiglie e invece non è così. Ho voluto descriverlo come vissuto nella realtà: per i napoletani è una festa importante e lo è anche per queste famiglie”: dal classico capitone ai doni per i più piccoli, non ci si risparmia nulla, neppure la solitudine e il dolore di donne che, a volte da anni, non riescono a festeggiare questa festa con i propri compagni, assenti ma mai dimenticati; forse è anche per loro che il Natale va festeggiato con tutti i crismi, per riuscire a mantenere intatta la quotidianità affinché possano ritrovare una famiglia serena ad attenderli al loro agognato ritorno a casa.
Sara Di Somma
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