Alessandro Pertini, meglio conosciuto come Sandro, fu presidente della Repubblica dal 9 luglio 1978 fino al 29 giugno 1985.
La sua figura è l’icona dell’onestà, della genuinità: qualità inconfutabili, che nessuno gli nega.
Il suo passato però è oscuro e, inoltre, il suo settennato è oggi fin troppo esaltato: in particolare è costante il paragone con Giorgio Napolitano, quasi come se il primo fosse la luce e il secondo l’ombra.
In realtà vi sono varie caratteristiche simili, tra i due presidenti.
La fama di Sandro Pertini è sostanzialmente divisa in due parti: il suo ruolo da partigiano e quello da capo dello stato.
Nel mezzo vi fu vi fu una figura politica ma istituzionale ed equilibrata: rispettata per la saggezza ma accompagnata da un carattere brusco e ruvido.
La figura di partigiano fu caratterizzata da un forte odio verso il fascismo (più aspro di altri suoi “compagni”): apparentemente comprensibile, date le numerose violenze che subì in quegli anni (prigione, botte e un fratello ucciso nei campi di concentramento).
In realtà l’odio di Sandro Pertini fu talmente sanguinario, da apparire quasi violento e incontrollato: egli non conobbe la pietà, nonostante la decantata “umanità” degli anni successivi.
Un primo esempio fu l’episodio di via Rasella, l’attentato che provocò la strage delle fosse Ardeatine:
trentatre militari dell’esercito tedesco (ma d’origine altoatesina) furono uccisi, terribile fu la rappresaglia nazista (trecentotrentacinque civili, fucilati)
La critica moderna denuncia come quella strage potesse essere evitata: magari non provocando alcun attentato (i nazisti più volte minacciarono che l’uccisione di un tedesco valeva la rappresaglia contro numerosi italiani) o semplicemente dichiarando la propria colpa, sacrificandosi.
Solo i comunisti progettarono segretamente l’attentato, ma mentre i cattolici furono subito contrari (a fatti avvenuti), alcuni socialisti appoggiarono l’azione.
Come altri, Pertini fu inizialmente ignaro ma in seguito confermò la bontà dell’atto attraverso queste parole (1977):
« Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L’azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L’ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d’accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola. »
L’impeto del futuro capo di stato, pareva non tener conto (nell’ipotesi migliore) della reazione nazista: ormai i tedeschi controllavano tutta Roma.
Curiosamente nel 1994, Matteo Matteotti (figlio di Giacomo), sconfessò le frasi di Pertini (con cui lo stesso Matteotti dichiarava di aver parlato subito dopo la liberazione), involontariamente adducendo le cause che il futuro presidente della Repubblica sottaceva: «Pertini, non era stato favorevole a un’azione militare di gappisti contro un reparto militare perché temeva che ci fossero delle rappresaglie sproporzionate rispetto all’efficacia dell’azione».
Al contrario le dichiarazioni di Giorgio Amendola (che organizzò l’attentato di via Rasella) sostennero che Pertini scalpitava per compiere un’azione terrorista, quasi invidioso dei successi comunisti.
Considerando che l’ultima dichiarazione (in ordine di tempo) fu quella di Matteotti, verrebbe da pensare che il politico volesse “proteggere” la figura di Pertini, unendosi al coro degli incensatori: in ogni caso la figura del futuro capo di stato è almeno equivoca.
Al contrario il politico socialista fu protagonista, nell’aprile del 1945.
Ormai vistoso perduto, Benito Mussolini tentò di salvarsi, consegnandosi agli “alleati”, attraverso la mediazione del Cardinale Ildefonso Schuster: le volontà degli “alleati” erano chiare (scritte durante l’armistizio di Cassibile), a Mussolini doveva essere salvata la vita.
«Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire si trovino in territorio controllato dal Comando militare alleato o dal Governo italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite. Tutti gli ordini impartiti dalle Nazioni Unite a questo riguardo verranno osservati”
Al contrario Pertini s’infuriò e impose con forza che Mussolini dovesse essere ucciso: sostenne addirittura che, se salvato, alla fine sarebbe tornato a Montecitorio.
La rabbia era tale che, incrociando il Duce sulle scale dell’arcivescovado, non lo riconobbe al momento, ma in seguito dichiarò che lo avrebbe ucciso volentieri a sangue freddo: «Se lo avessi riconosciuto lo avrei abbattuto lì, a colpi di rivoltella».
Esaltato, durante un comizio subito successivo, si espresse in tal maniera: « Mussolini, mentre giallo di livore e di paura tentava di varcare la frontiera svizzera, è stato arrestato. Egli dovrà essere consegnato a un tribunale del popolo, perché lo giudichi per direttissima. E per tutte le vittime del fascismo e per il popolo italiano dal fascismo gettato in tanta rovina egli dovrà essere e sarà giustiziato. Questo noi vogliamo, nonostante che pensiamo che per quest’uomo il plotone di esecuzione sia troppo onore. Egli meriterebbe di essere ucciso come un cane tignoso”.
Pur giustificandola rabbia di Pertini, verso un uomo che rappresentava le sue disgrazie, colpisce il furore assassino, a contrasto della bonomia garantista, che lo contraddistinse negli anni futuri.
Forse era talmente accecato dalla rabbia da non essere a conoscenza della figura di Claretta Petacci: catturata assieme al Duce, con l’unica “colpa” di aver amato il suo uomo fino in fondo.
La spietatezza del leader socialista fu, al contrario, ingiustificabile, nei confronti dei due attori cinematografici: Osvaldo Valenti e Luisa Ferida.
I due attori simpatizzarono col fascismo fino ai tempi della Repubblica di Salò: mentre Valenti operò in prima linea, la Ferida era totalmente estranea alla politica.
Osvaldo Valenti si adoperò per condurre trattative con i partigiani, ma questi ultimi non ebbero pietà: fucilarono entrambi i coniugi, nonostante lei fosse incinta.
I loro assassini ammisero l’innocenza della donna, ma questo non placò la rabbia: «La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente. Ma era con Valenti. La rivoluzione travolge tutti».
L’ultima decisione fu di Sandro Pertini, che non ebbe alcun dubbio: “Fucilali, e non perdere tempo!”».
Da capo di stato, il politico socialista sembrò curiosamente vicino alla Jugoslavia comunista, complice di efferati delitti: tra le foibe di Tito e la crudeltà fratricida dei partigiani comunisti.
Graziò l’ex partigiano comunista Mario Toffanin, detto “giacca”, nonostante questi non si pentì mai dei suoi delitti.
Toffanin fu il principale responsabile del massacro di Porzius, del febbraio 1945: a causa di una falsa accusa di spionaggio, furono fucilati ben diciassette partigiani cattolici e socialisti (la “Brigata Osoppo”), da parte di partigiani comunisti (il Gap, Gruppo d’Azione Patriottica).
Non contento, Pertini partecipò al funerale del presidente jugoslavo Josip Broz Tito (1980), baciando la bandiera jugoslava: l’atto fu criticato poiché Tito fu il responsabile degli eccidi nelle foibe carsiche.
E’ inutile dire che il capo di stato era informato della tragedia esule istriana e della tragica morte che attese alcuni di loro.
Il 29 giugno del 1978, Sandro Pertini fu eletto Presidente della Repubblica.
Confermando un atteggiamento umile, ammise di non essere per niente desideroso di acquisire quella carica: probabilmente, in sette anni, cambiò idea; secondo voci sicure, parve volersi riconfermare al Quirinale (nonostate l’età non più giovane) o, di sicuro, non fece nulla per affermare il contrario.
Colpisce innanzitutto il motivo, secondo cui Pertini fu eletto presidente.
L’uomo politico era considerato ignorante o, addirittura, inetto alla politica, dagli uomini del suo stesso partito: Riccardo Lombardi lo definiva come “cuor di leone e cervello di gallina”.
Perfino Pietro Nenni raccontò un episodio, relativo al comune periodo di prigionia a Ponza (durante il fascismo):
“Io non sono certamente un uomo di cultura e alla cultura non attribuisco, per un politico, una decisiva importanza. Ma qualcosa so, qualche libro l’ho letto, anche grazie a Mussolini quando mi mando’ al confino a Ponza. C’era anche Sandro. Lui, l’unica cosa che leggeva era L’Intrepido. Il resto del tempo lo passava a giocare a briscola o a scopa coi nostri guardiani. Alle nostre discussioni sul futuro dell’Italia e del partito non partecipava quasi mai, e quando lo faceva, era solo per invocare il popolo sulle barricate, per lui la politica era solo quella”. Lei mi chiedera’ come fece un uomo cosi’ sprovveduto a diventare Presidente della Repubblica. Lo divento’ appunto perche’ era sprovveduto, e come tale forniva buone garanzie di non interferenza agli uomini del potere vero, totalmente in mano ai partiti.
Un presidente contraddistinto da innegabile onestà e spontaneità, ma anche da un’incredibile voglia di protagonismo, unito a una furba attenzione al fenomeno mediatico.
Bruno Vespa ricorda che nel 1982, durante un viaggio ufficiale in Germania, il presidente salutò, inizialmente, in modo frettoloso gli italiani presenti (novecento operai emigrati), salvo poi ravvivarsi quando notò la presenza di una telecamera (che lui aveva urgentemente richiesto).
L’entusiasmo caloroso dell’anziano capo di stato, fu proverbiale: memorabile fu la sua presenza fisica a Vermicino, nelle ore tragiche della tragedia di Alfredino Rampi (il bambino che cadde e morì imprigionato in un pozzo); l’esultanza durante la finale dei vittoriosi Campionati del Mondo di calcio del 1982; i rimproveri al governo, a seguito del terremoto in Irpinia del 1980; l’accorata vicinanza al capezzale di Enrico Berlinguer e del giovane appartenente al Fronte della Gioventù, Paolo Di Nella (ucciso a botte da giovani della sinistra extra parlamentare).
Il dubbio resta: un uomo spontaneo o un furbo calcolatore?
E’ giusto attendersi, da un individuo che in passato ordinò di uccidere della gente (innocenti o meno) o premiò chi aveva compiuto stragi, un senso improvviso e sincero di umanità?
Secondo Indro Montanelli, parve spontanea la critica al governo (dopo i fatti dell’Irpinia): salvo sapere che fu lo stesso Pertini (da presidente della Camera) a respingere i disegni di legge che volevano riparare le falle geologiche del territorio Irpino.
Secondo Bruno Vespa, l’episodio pietoso dell’agonia a Berlinguer, avvenne (guarda caso) alla scadenza del mandato presidenziale (1984): forse si trattava di un furbo occhieggiamento di consensi verso il Partito Comunista Italiano?
Stesso discorso si propose durante il funerale del leader sovietico Jury Andropov: il vecchio socialista era in visita di stato in Sudamerica, ma non esitò a prendere il primo aereo per Mosca.
E’ poi paradossale la vicinanza allo sfortunato Paolo Di Nella: un duro anti fascista che condanna un’azione, che probabilmente avrebbe compiuto in gioventù?
Infine è giusto rilevare le numerose somiglianze, tra la presidenza di Pertini e quella di Napolitano.
E’ giusto aprire gli occhi a chi intravvede un abisso tra le esperienze dei due ex inquilini del colle.
1-in primo luogo l’origine politica: numerosi hanno accusato (a ragione) Giorgio Napolitano di avere difeso (nel 1956) l’invasione sovietica in Ungheria.
Se vogliamo escludere le crudeltà compiute durante l’immediato dopoguerra, Sandro Pertini elogiò, alla sua morte, il “compagno Stalin”, durante una seduta in parlamento.
«Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L’ultima sua parola è stata di pace. […] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto”
Essendo stato in stretto contatto con la classe dirigente comunista di allora, è improbabile che Pertini non conoscesse le crudeltà del dittatore sovietico.
2-in questo secondo caso, la figura di Napolitano è in secondo piano ma l’esempio è dato dalla cronaca di oggi.
A seguito dell’interesse, al sequestro e alla liberazione, delle due ragazze rapite in Siria (Vanessa Marzullo e Greta Ramelli), molta gente si è dichiarata favorevole al pagamento di un riscatto ai rapitori, biasimando chi appoggiava la linea dura.
Riguardo al caso Moro, diverse volte Giulio Andreotti fu accusato di cinismo, non avendo voluto trattare con le Brigate Rosse: ebbene Pertini fu l’unico tra i socialisti, ad adottare la stessa linea di Andreotti.
3- Il predecessore di Mattarella al Quirinale, è spesso accusato di aver affidato incarichi governativi a politici non eletti dal popolo o di non seguire la volontà degli italiani: il Movimento Cinque Stelle afferma, che il governo andava dato a chi aveva conquistato più consensi.
Ebbene Sandro Pertini pose a Palazzo Chigi due personalità come Giovanni Spadolini e Bettino Craxi: il primo fu il leader del Partito Repubblicano (che alle elezioni del 1979 prese “appena” il 3,30% dei voti italiani); il secondo fu il leader del Partito Socialista (che alle elezioni politiche del 1983 ebbe “appena” l’11,40% di consensi).
Inoltre Pertini incaricò al governo, Amintore Fanfani (1 dicembre 1982): allora già senatore a vita e quindi non eletto dagli italiani da molti anni.
In una situazione senza precedenti, più volte il capo di stato socialista interferì col mondo politico o prese decisioni autonome: Antonio Ghirelli (allora portavoce del Quirinale) definì, quest’ atteggiamento, la “Repubblica Pertiniana”.
Allora nessuno osò dire a Pertini, che le sue manovre erano anti costituzionali? Come oggi accade con Napolitano?
E’ giusto ricordare che il capo di stato incaricò Giovanni Spadolini, poichè figura di uomo onesto (come risposta allo scandalo della P2) e che alcune scelte furono fatte in buona fede: è giusto quindi chiarire, se il danno sia di muoversi (apparentemente) contro la costituzione o di farlo senza metri di giudizio?
4-Pertini non fu un presidente imparziale (la stessa cosa si è affermata riguardo a Napolitano): nonostante si fosse dimesso dallo Psi (una volta eletto), ha continuato a parteggiare per il suo vecchio partito.
Durante la crisi del secondo governo Spadolini, (provocato dalla famosa “lite tra le comari”, tra il ministro democristiano Beniamino Andreatta e quello socialista, Rino Formica) lui difese espressamente Formica.
All’ex ministro socialista Lello Lagorio, confidò che avrebbe incaricato i socialisti al governo, se questi avessero raggiunto un cospicuo numero di voti: questo avvenne alle elezioni del 1983 (ma il vecchio socialista propose anche nel 1979, a Craxi, un incarico esplorativo), seppur la vittoria non fosse quella auspicata da Craxi e la maggioranza fosse ovviamente democristiana.
I giovani odierni speranzosi e onesti, insultano Craxi ma lodano Pertini: la contraddizione è curiosa, poichè fu il secondo a mettere sul trampolino di lancio il primo.
5-un capitolo importante riguarda i costi della politica: l’immaginario collettivo vuole che Pertini fosse un uomo virtuoso, il primo a denunciare gli stipendi dei suoi colleghi politici.
Nonostante questo sia abbastanza vero, qualche contraddizione è presente.
in primo luogo lui era ben conscio del sistema corrotto che lo circondava, ma non fece mai nulla per fermarlo.
Inoltre, ultimamente, grossa è la polemica verso i senatori a vita: personalità non elette e prettamente mantenute dallo stato, che rappresentano (secondo alcuni) uno spreco.
Sandro Pertini non solo ne nominò cinque (come costituzione vuole), ma essi si assommarono ai due già presenti, raggiungendo il “numero-record” di sette senatori a vita: il capo di stato si parò davanti alle accuse, obbiettando che la costituzione parlava di “cinque senatori nominati dal Presidente della Repubblica”, quindi non presenti effettivamente al senato.
In definitiva è giusto ricordare la figura di Sandro Pertini come un memorabile presidente della Repubblica; i fatti storici però dimostrano, come la sua fama fu anche negativa e non solo (come la tradizione popolare e non solo, vuole) unicamente positiva.
Rey Brembilla
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